Fisiologia dell'equilibrio

Il sistema vestibolare periferico comprende meccanocettori sensibili alle accelerazioni angolari e lineari. La sensibilità di questi meccanocettori si estende su un’ampia gamma di frequenze. Tuttavia, questo sistema periferico non è in grado da solo di fornire uno schema preciso della posizione del corpo nello spazio, e a tale scopo i neuroni vestibolari centrali vengono utilizzati come integratori sensoriali multimodali. In tal modo, la fisiologia vestibolare consiste nello studio di uno dei sistemi principali che regolano il mantenimento dell’equilibrio.

Definizione e aspetti generali
La funzione di equilibrio può essere definita come la funzione che regola i rapporti dell’animale con il mondo fisico e che consente tutti i movimenti (spostamenti e azioni) nelle migliori condizioni di efficacia. Da questa definizione deriva la necessità di avere una costante rappresentazione mentale, conscia o inconscia, del nostro corpo e della sua posizione nell’ambiente, nonché un repertorio di risposte motorie che fornisca una strategia immediata e appropriata a ogni singola situazione. Questo obiettivo implica che la funzione
di equilibrio integra il concetto di plurimodalità sensoriale, le cui fonti principali sono:
– visive, per aiutarci a posizionarci nell’ambiente e informarci riguardo alla nostra velocità relativa;
– vestibolari, per informarci riguardo alle accelerazioni, sia lineari sia angolari, nonché riguardo alla posizione e all’inclinazione del capo rispetto all’asse gravitazionale;
– propriocettive, in particolare le afferenze muscolari della posizione statica eretta e i muscoli profondi del collo, per informarci in ogni momento riguardo alla disposizione dei diversi segmenti del corpo li uni rispetto altri, nonché riguardo alle accelerazioni e alle tensioni cui sono sottoposti.

La funzione di equilibrio non è limitata alla sola stimolazione vestibolare. Ne è una prova, per esempio, l’illusione di movimento che avvertiamo fissando il movimento dell’acqua quando ci
sporgiamo dal parapetto di un ponte. Allo stesso modo, possiamo avvertire una sensazione di movimento all’indietro quando un treno vicino a noi parte. La sensazione di movimento o l’equilibrio rimangono intatti, anche dopo la distruzione dei due labirinti. In tal caso la precisione dei movimenti ad alta frequenza è minore, ma Stéphane Roman: Chef de clinique-assistant. Jean-Marc Thomassin: Professeur des Universités, praticien hospitalier.
Fédération d’oto-rhino-laryngologie de la Timone adultes, boulevard Jean-Moulin, 13385 Marseille cedex 5, France.
l’handicap resta minimo rispetto a quello causato da un deficit visivo o uditivo. Tuttavia, la conoscenza della fisiologia vestibolare è di grande interesse in quanto tutte le informazioni sensoriali convergono verso un vero e proprio centro di orientamento e di integrazione, costituito dai nuclei vestibolari centrali. Dall’analisi comparativa di queste informazioni risultano reazioni motorie che passano attraverso due effettori principali: il circuito
dell’oculomotricità coniugata e il circuito della motricità somatica. Contemporaneamente questi dati raggiungono anche la regione talamocorticale, in cui avviene la presa di coscienza della nostra posizione nello spazio. Un’altra connessione ha luogo nei centri neurovegetativi e ciò spiega, per esempio, il vomito in caso di vertigini. Infine, il cervelletto regola i diversi riflessi vestibolooculari (RVO) e vestibolospinali, veri e propri regolatori delle proprietà del sistema. In virtù delle afferenze e delle efferenze il cervelletto è assimilabile a un modulatore situato in derivazione sugli archi riflessi.
Lo studio della fisiologia vestibolare costituisce tuttora un inesauribile argomento di ricerca. Pertanto, senza pretesa di essere esaurienti, gli Autori suddivideranno il lavoro in due parti che verteranno su:
– assunzione e trasferimento delle informazioni sensoriali attraverso i recettori labirintici;
– integrazione e destinazione del messaggio nel sistema nervoso centrale (SNC).


La seconda parte esaminerà attentamente i rapporti tra il sistema vestibolare e le altre modalità sensoriali, in particolare quelle provenienti dal sistema visuomotorio, imprenscindibile dal sistema vestibolare. Poiché i due sistemi funzionano in coppia, le strutture centrali combinano le afferenze e le efferenze di entrambe le modalità e le patologie interessano entrambi i sistemi contemporaneamente. In tal modo, nella pratica clinica è possibile esaminare l’uno o l’altro per valutare lo stato del sistema visuovestibolare. 

Assunzione e trasferimento dell’informazione sensoriale da parte dei recettori labirintici

Gli elementi implicati nell’assunzione e nel trasferimento dell’informazione sensoriale sono:
– i due labirinti posteriori ossei membranosi e i rispettivi liquidi labirintici che costituiscono i due organi vestibolari periferici;
– i due nervi vestibolari (VIII paio di nervi cranici).


CENNI DI ANATOMIA
Situato all’interno della piramide petrosa il labirinto osseo, di origine mesenchimale, è costituito da un insieme di cavità, il vestibolo e i canali semicircolari (CSC). Il labirinto membranoso, situato nel labirinto osseo, contiene l’utricolo e il sacculo, che formano il
vestibolo membranoso, e i tre canali semicircolari. Le strutture membranose sono separate dalle strutture ossee dalla perilinfa. Il labirinto membranoso contiene l’endolinfa, che nell’uomo è caratterizzata da un alto contenuto di ioni potassio (da 140 a 160 mEq/l). All’interno dei sacculi e degli utriculi, che formano gli organi otolitici, e all’interno delle ampolle dei canali semicircolari si trovano gli organi sensoriali vestibolari. Questi organi sensoriali sono le creste ampollari e le macule otolitiche, rispettivamente nei canali semicircolari e negli organi otolitici (fig 1A). CANALI SEMICIRCOLARI E CRESTE AMPOLLARI
¦ Anatomia descrittiva I canali semicircolari, orientati nei tre piani dello spazio, sono
(fig 1B):
– il canale semicircolare laterale o orizzontale o esterno, situato in un piano obliquo, da davanti all’indietro e dall’alto in basso, che forma con il piano di Francfort un angolo di 30° circa aperto in avanti. Nella normale posizione del capo, il canale laterale esterno è
in posizione orizzontale;
– il canale semicircolare anteriore o superiore, situato in un piano verticale quasi perpendicolare all’asse della rocca petrosa, obliquo dall’esterno verso l’interno e da davanti all’indietro, che forma con il piano sagittale un angolo aperto in avanti di 37°. Questo piano è perpendicolare al piano del canale esterno;
– il canale semicircolare posteriore, situato in un piano verticale quasi parallelo all’asse della rocca petrosa e che forma con il piano sagittale un angolo aperto all’indietro di 53°. Questo piano è perpendicolare al piano del canale esterno.

I tre canali, il cui lume è misurato in millimetri, giungono nelvestibolo attraverso un orifizio dilatato (ampolla) e attraverso un orifizio semplice. I canali anteriore e posteriore possiedono un ramo osseo comune. Le ampolle dei canali semicircolari esterno e superiore, al contrario delle ampolle dei canali posteriori, sono situate anteriormente. Le ampolle sono formate dalle estremità dilatate dei tre canali semicircolari. Sul loro pavimento, perpendicolarmente al lume di ciascun canale, si trova la cresta ampollare che occupa un terzo del diametro delle ampolle. La parte superficiale delle creste è costituita da cellule di sostegno e da cellule
sensoriali. Queste ultime emettono ciglia che si inseriscono in una struttura gelatinosa costituita da proteine: la cupola. La cupola si estende dalla superficie della cresta fino alla sommità dell’ampolla, formando un setto elastico impermeabile. Le caratteristiche anatomiche e funzionali delle cellule sensoriali saranno descritte dettagliatamente in un altro capitolo. Tuttavia, notiamo che esistono due tipi di cellule sensoriali: le cellule di tipo I e le cellule di tipo II. La disposizione di queste cellule sulla cresta ampollare e le connessioni nervose sono particolari. Le cellule di tipo I si riuniscono al centro delle creste e presentano una connessione nervosa a calice, mentre le cellule di tipo II sono situate in periferia e presentano una connessione nervosa a bottone. Grazie ai lavori di Fernandez et al [13],
è stato scoperto che le connessioni nervose possono essere a calice, a bottone, oppure dimorfe (calice + bottone). Questa classificazione permette di suddividere la cresta in tre regioni:
– centrale, le cui afferenze sono costituite da fibre di grande calibro (10% delle fibre marcate) che terminano a forma di calice semplice o
complesso;
– intermedia, in cui si riscontrano unità dimorfe collegate a fibre medie (70%);
– periferica, le cui afferenze sono costituite da fibre di piccolo calibro (20%) che terminano a forma di bottone.

Aspetti fisiologici
Cenni storici
Il ruolo funzionale dei canali semicircolari è stato scoperto da Flourens nel 1842. Egli constatò che l’apertura di un canale semicircolare nel piccione produceva movimenti caratteristici del capo nel piano del canale interessato. Ma fu Ewald, nel 1892, a
stabilire una relazione chiara tra i piani dei canali semicircolari, la direzione del flusso endolinfatico e la direzione dei movimenti indotti nel capo e negli occhi. A tale scopo, in seguito ad esposizione chirurgica della membrana labirintica dei canali semicircolari nel
piccione, egli applicò a ogni canale pressioni positive e negative che originarono correnti endolinfatiche ampullipete e ampullifughe. In tal modo vennero formulate le cosiddette leggi di Ewald:
– le manifestazioni toniche (fase lenta del nistagmo e deviazioni segmentarie e assiali) sono dirette nel senso della corrente endolinfatica;
– nei canali orizzontali, la stimolazione ampullipeta è superiore alla stimolazione ampullifuga. Nei canali verticali avviene il contrario.


Deduzioni e spiegazioni
A partire dalle leggi di Ewald possiamo dedurre che esiste una polarizzazione dei canali semicircolari. Lo stimolo canalare è prodotto dalle accelerazioni angolari. La polarizzazione è dovuta all’organizzazione ciliare delle cellule sensoriali. Infatti, l’asse morfologico di polarità, chiamato vettore di polarizzazione, passa attraverso lo stereociglio più corto e il chinociglio. 

L’orientamento

del flusso endolinfatico rispetto all’asse di polarizzazione determina il livello di attività rilevato nelle afferenze vestibolari. L’inclinazione delle stereociglia in direzione del chinociglio provoca un aumento della scarica delle fibre afferenti, e quindi un’eccitazione, e viceversa. Le chinociglia sono situate nei pressi dell’utricolo nelle creste dei canali orizzontali e viceversa nelle creste dei canali superiore e posteriore, e ciò conferma la seconda legge di Ewald. Tuttavia, questa trasduzione meccanoneurale è resa possibile dalla presenza del diaframma ampollare completamente chiuso costituito dalla cresta e dalla cupola (fig 2). La cupola si comporta come un accoppiatore tra la forza dovuta all’accelerazione angolare del capo
e le cellule sensoriali. A causa della configurazione e delle dimensioni dei canali, l’endolinfa può spostarsi solo in una direzione lungo la cavità cilindrica, mentre, in presenza di un’accelerazione angolare applicata al capo, l’insieme endolinfa-cupola si comporta
come una massa omogenea in quanto la cupola ha lo stesso peso specifico dell’endolinfa nella quale è immersa. Esiste una stretta relazione tra lo spostamento del capo e lo spostamento della cupola. Le accelerazioni e le decelerazioni creano un movimento differenziale tra contenitore e contenuto. Se il capo e l’endolinfa girano alla stessa velocità, le cellule sensoriali non vengono stimolate. In caso di deviazione, la cupola torna alla posizione di riposo secondo un movimento esponenziale simile a un pendolo. La cupola è simile a un velo morbido i cui spostamenti sono più ampi alla base rispetto all’apice. La cupola, inoltre, è più mobile nella parte centrale rispetto alle regioni laterali. Il piccolo calibro dei canali semicircolari e la densità relativa della cupola e dell’endolinfa determinano una notevole inerzia dell’insieme del sistema che funziona come un pendolo fortemente rallentato, e ciò permette al sistema di rispondere con grande sensibilità a stimoli di brevissima durata. La soglia di attivazione dei canali corrisponde a un’accelerazione angolare pari a 0,1-0,2°/s2, che produce uno spostamento della cupola dell’ordine di 10 nm [38]. In definitiva, i tre canali semicircolari agiscono in collaborazione e garantiscono una codificazione tridimensionale degli spostamenti del capo.

ORGANI E MACULE OTOLITICHE
Anatomia descrittiva
L’utricolo e il sacculo formano due tasche a forma di sacco. L’utricolo, sul quale confluiscono i canali semicircolari, è situato posteriormente ed è appiattito in senso trasversale, mentre il sacculo è posto anteriormente, ha una forma più tondeggiante e comunica con la coclea attraverso il canale Reuniens. L’utricolo e il sacculo sono legati da un canale a forma di «Y» che prosegue attraverso l’acquedotto del vestibolo e il sacco endolinfatico. L’epitelio
sensoriale, o macula, è costituito da cellule sensoriali ciliate le cui afferenze vestibolari, la morfologia e la polarizzazione morfofunzionale sono simili a quelle delle creste ampollari. Le
cellule di tipo I si riuniscono soprattutto al centro delle macule, mentre le cellule di tipo II si riuniscono in periferia. La macula è portata nel sacculo e nell’utricolo rispettivamente dalla parete interna, il cui orientamento è verticale, e dalla parte anteriore del pavimento, il cui orientamento è orizzontale. Ogni macula è ricoperta da una membrana otolitica costituita da una sostanza gelatinosa di natura protidica contenente cristalli di carbonato di
calcio: gli otoconi, o otoliti. Questa membrana delimita alcuni alveoli nei quali penetrano le ciglia delle cellule sensoriali.

Aspetti fisiologici
Ogni macula è suddivisa in due zone di pari superficie da una linea: la striola. Da una parte e dall’altra della striola le cellule sensoriali sono orientate in modo tale che le chinociglia abbiano polarità opposta, cioè di fronte nell’utricolo e di retro nel sacculo (fig 3A, B).
La disposizione delle cellule ciliate maculari provoca, in seguito a uno stimolo, risposte inverse in ogni metà della macula. Gli stimoli sono costituiti principalmente dalle accelerazioni orizzontali per i recettori utricolari e dalle accelerazioni verticali per i recettori
sacculari. Tuttavia, poiché la striola è incurvata e le cellule sensoriali sono orientate secondo angoli diversi, le macule hanno una sensibilità multidirezionale. I recettori otolitici vengono attivati mediante lo scivolamento della membrana otoconiale sulla macula, che determina forze di taglio nella superficie ciliare. Se lo stimolo è orientato nell’asse del chinociglio si origina un eccitamento. Uno stimolo di senso opposto porta invece a un’inibizione. La soglia di individuazione degli spostamenti lineari si aggira intorno a 0,05- 0,1 m/s2. In caso di velocità costante, la membrana otolitica tornaalla posizione iniziale di riposo grazie all’elasticità delle ciglia e la forza di taglio scompare. L’accelerazione gravitazionale agisce
costantemente sui recettori maculari, ma viene presa in considerazione solo in presenza di un angolo di spostamento delle chinociglia. In funzione di questa struttura, la percezione della direzione dei movimenti verticali è delicata in quanto la stimolazione dinamica si aggiunge all’accelerazione gravitazionale statica. Si tratta, quindi, di individuare una modificazione del livello di accelerazione. In caso di spostamenti orizzontali è sufficiente
individuare un cambiamento di direzione dell’accelerazione


TRASDUZIONE MECCANOELETTRICA 

Le cellule sensoriali vestibolari sono meccanorecettori che hanno il compito di trasformare uno spostamento meccanico iniziale in un segnale elettrico interpretabile dal sistema nervoso centrale. Questo meccanismo, detto di trasduzione meccanoelettrica, si effettua in tre tempi:
– lo stimolo provoca lo spostamento di una struttura annessa accoppiata alla cellula recettrice attraverso la superficie ciliare;
– la conseguente deformazione meccanica del pennello delle stereociglia provoca la comparsa di una corrente in entrata che a sua volta si manifesta mediante un segnale elettrico: il potenziale del recettore;
– il potenziale del recettore determina una depolarizzazione basolaterale della cellula ciliata, all’origine della liberazione di neurotrasmettitori e del potenziale generatore dei potenziali di
azione, trasmessi al sistema nervoso centrale dalle fibre afferenti.


Cellule sensoriali vestibolari
Le cellule di tipo I sono a forma di anfora e sono a contatto con un’unica terminazione nervosa ampia che le avvolge come un calice. Le cellule di tipo II sono rettangolari e alla base presentano terminazioni afferenti a forma di piatto. Si contano 23.000 cellule
sensoriali nelle tre creste ampollari e 4.000 nelle due macule. La superficie ciliare di ognuna di queste cellule è comune e costituisce la struttura meccanosensibile (fig 4). 
Superficie ciliare
La superficie ciliare è composta da 40-100 microvilli più o meno sviluppati, le stereociglia, e da un chinociglio. Il chinociglio, che costituisce l’asse di polarizzazione, nasce da un corpo basale situatonel citoplasma apicale, mentre le stereociglia sono incastonate nella
placca cuticolare. Le stereociglia sono disposte in file successive, didimensioni crescenti, che conferiscono un aspetto di «canna d’organo». La fila più elevata delle stereociglia porta il chinociglio. La qualità meccanica della superficie ciliare dipende dalla presenza
di legami tra le stereociglia, che rendono i diversi elementi solidali gli uni con gli altri. Infatti, è stato dimostrato mediante la microscopia elettronica che ogni stereociglio è ancorato alle
stereociglia adiacenti mediante legami laterali, mentre l’ultima fila delle stereociglia è solidale con il chinociglio. Ne consegue che lo spostamento del ciuffo ciliare avviene in modo omogeneo e completo durante le deflessioni meccaniche. Oltre a questi legami
laterali, alcuni filamenti apicali di piccolo calibro collegano l’apice di uno stereociglio alla regione subapicale del ciglio adiacente situato nella fila seguente.

Fasi della meccanotrasduzione
La sequenza degli eventi compresi tra l’apertura dei canali di trasduzione e la liberazione di glutammato (molto probabilmente un neurotrasmettitore) che caratterizzano le cellule sensoriali è tuttora controversa. La fase di apertura dei canali di trasduzione si basa presumibilmente su un modello detto di gating spring, secondo il quale la porta
molecolare del canale sarebbe collegata al legame elastico apicale. In tal modo, durante uno stimolo eccitatore i legami apicali, collegati alle porte molecolari dei canali di trasduzione, permettono l’apertura dei canali determinando una modificazione conformazionale delle
proteine costitutive dei canali. L’apertura dei canali di trasduzione dipenderebbe fortemente dalla presenza di ioni calcio (Ca++), che agiscono direttamente sulla molecola del canale. In fin dei conti, la corrente di trasduzione consiste in un flusso in entrata di ioni
potassio (K+), accompagnati da ioni Ca++.
Nelle cellule di tipo II uno spostamento del ciuffo ciliare in direzione del chinociglio determina la formazione di un potenziale del recettore all’apice della cellula di tipo II, che determina sia un campo elettrico che depolarizza la parte basolaterale della cellula sia l’apertura di canali del calcio dipendenti dal voltaggio. Questa apertura permette l’ingresso di calcio nella cellula e la liberazione di glutammato. In un secondo tempo ha luogo la ripolarizzazione della cellula, caratterizzata da un flusso di potassio in uscita, dalla neutralizzazione del calcio attraverso le proteine che legano il calcio e da canali che espellono il calcio. Le cellule di tipo II sono caratterizzate anche da un basso potenziale a riposo (- 45 mv) che
determina un’alta sensibilità. Nelle cellule di tipo I le fasi della meccanotrasduzione sono
complessivamente simili a quelle delle cellule di tipo II. Tra queste cellule, tuttavia, esistono conduttanze differenti; in particolare non è stato riscontrato alcun canale del calcio dipendente dal voltaggio, e ciò non permette ancora di conoscere a fondo alcune modalità di
attivazione. Notiamo che le cellule di tipo I associano una polarizzazione di riposo elevata (- 70 mv) e una bassa componente in entrata di calcio.

Meccanismi di regolazione
Diversi processi sembrano implicati nella regolazione delle fasi della meccanotrasduzione (fig 4).
– Un primo fenomeno di adattamento, comune alle cellule di tipo I e II, che influirebbe sulla corrente di trasduzione, dipenderebbe dall’azione degli ioni Ca++. Questo controllo viene attivato per stimoli di intensità media e continua e corrisponde a un meccanismo di regolazione automatica dell’assunzione di informazioni.
– Il secondo processo coinvolge gli autorecettori glutammatergici. Situati sulla membrana presinaptica in prossimità dei corpi sinaptici, una volta attivati controllano la liberazione del glutammato. Questo meccanismo è comune anche ai due tipi di cellule sensoriali.
– Un terzo processo di regolazione coinvolge le fibre efferenti che realizzano sinapsi assosomatiche dirette con le cellule di tipo II. Il principale neurotrasmettitore sarebbe l’acetilcolina, ma l’immunocitochimica ha riscontrato colocalizzazioni in particolare
con la sostanza P. L’effetto indotto dalle fibre efferenti sembra dipendere dallo stato di eccitazione della cellula sensoriale. Per le cellule di tipo I, la regolazione effettuata dalle fibre efferenti è diversa. Queste ultime realizzano sinapsi con il calice nervoso delle fibre afferenti formando sinapsi assodendritiche. L’azione delle fibre efferenti non è nota. Mediante alcune tecniche di immunocitochimica è stata riscontrata la presenza di glutammato e di sostanza P nella parte apicale del calice nervoso. In tal modo, la fibra nervosa eserciterebbe un feedback sulla parte apicale della cellula, che potrebbe contrarsi o distendersi.

FIBRE VESTIBOLARI
Fibre afferenti o neuroni vestibolari primari
I dendriti dei neuroni bipolari sono a contatto con le cellule ciliate vestibolari. I corpi cellulari sono riuniti nel linfonodo vestibolare detto di Scarpa, e gli assoni percorrono il nervo per poi raggiungere i nuclei vestibolari dopo un tragitto nel tronco cerebrale, ad eccezione di alcuni assoni che si proiettano direttamente sul cervelletto. Le fibre afferenti vestibolari sono caratterizzate da un’attività spontanea che permette una classificazione in due gruppi
principali:
– le unità regolari di tipo tonico, che hanno una frequenza media di scarica di 50 impulsi al secondo;
– le unità irregolari di tipo fasico, che hanno una frequenza media di scarica di sette impulsi al secondo.
Le attività regolari toniche derivano da fibre di piccolo calibro afferenti alle cellule di tipo II; le attività irregolari fasiche provengono da fibre di grosso calibro con rapida velocità di
conduzione nervosa e connettono le cellule di tipo I. Tra queste due popolazioni esiste un continuum di neuroni vestibolari primari con proprietà intermedie a contatto con le cellule sensoriali dimorfe. L’attività di riposo delle fibre nervose dipenderebbe dalla liberazione continua o discontinua di glutammato da parte delle cellule sensoriali e permette la codificazione vestibolare. Ogni stimolazione che determina in un recettore ampollare o maculare uno spostamento delle stereociglia verso le chinociglia provoca un aumento dell’attività delle fibre, mentre una stimolazione in senso inverso riduce l’attività delle fibre. Ne consegue una modulazione dell’attività spontanea che appare indispensabile nella valutazione della bidirezionalità degli stimoli. E’necessario sottolineare che le alterazioni dell’attività spontanea sono particolarmente sensibili per le unità regolari toniche. Queste ultime non si adattano agli stimoli e rispondono non in funzione del movimento ma della posizione del capo, e inoltre assicurano la funzione statica del labirinto. Al contrario, le unità irregolari rispondono in maniera fasica fin dall’inizio di un movimento; hanno quindi un ruolo dinamico e sono legate alla funzione cinetica del labirinto. La registrazione della
direzione dello stimolo ad opera delle variazioni positive o negative dell’attività delle fibre vestibolari è tuttavia più o meno fedele a seconda dell’intensità della stimolazione e della fibra interessata. In tal modo, per una stimolazione ampullipeta o ampullifuga che
interessa la cresta del canale laterale, le risposte eccitatorie o inibitorie sono simmetriche solo se la stimolazione è di bassa intensità o se le unità coinvolte hanno un’attività spontanea elevata. Se la stimolazione non è di forte intensità o se la frequenza delle
attività unitarie è bassa le risposte sono asimmetriche, in quanto la fibra segnala più fedelmente una stimolazione eccitatoria rispetto a una stimolazione inibitoria. Infatti, un’unità dotata di una bassa frequenza di scarica (40 impulsi/s) raggiunge lentamente la
frequenza di scarica massima (400 impulsi/s) in seguito a una stimolazione eccitatoria, mentre si arresta rapidamente dopo una stimolazione inibitoria. Poiché nei mammiferi è molto maggiore rispetto agli altri vertebrati, l’attività spontanea delle fibre vestibolari
permette una migliore linearità bidirezionale delle risposte e quindi una percezione più corretta dei movimenti cefalici.

Fibre efferenti
Costituiscono un sistema centrifugo le cui terminazioni realizzano sinapsi con le membrane delle cellule di tipo II o con i calici nervosi delle cellule di tipo I. Ogni labirinto riceve fibre provenienti dai nuclei efferenti omo- e controlaterali situati, nei primati, tra il nucleo dell’abducente (VI) e il nucleo vestibolare superiore. Le fibre efferenti partecipano alla modulazione delle informazioni vestibolari trasmesse al sistema nervoso centrale. Il neurotrasmettitore principale è l’aceticolina. Le modalità di feedback sono state illustrate in precedenza.
Integrazione e destinazione del messaggio nel sistema nervoso centrale
Le afferenze labirintiche sono raggruppate all’interno del nervo vestibolare e raggiungono il nevrasse in corripondenza della fossetta laterale del bulbo. Successivamente le fibre si dividono in due gruppi, di cui uno si proietta direttamente sul cervelletto e l’altro,
attraverso un ramo ascendente e un ramo discendente, si distribuisce al complesso dei nuclei vestibolari. I nuclei vestibolari agiscono come centri di orientamento e di integrazione
dell’informazione.

NUCLEI VESTIBOLARI
Centro di integrazione
Nei vertebrati superiori, la funzione di equilibrio svolge un ruolo tanto più importante in quanto è più difficile mantenere l’equilibrio in seguito a costrizioni imposte dallo stile di vita e, nell’uomo, dalla posizione eretta. Questi vincoli richiedono un controllo estremamente preciso degli atti motori complessi. I recettori vestibolari non sono in grado di fornire da soli uno schema preciso della posizione del corpo nello spazio utilizzando i nuclei vestibolari
come semplici relais. Di conseguenza, oltre alle afferenze labirintiche i nuclei vestibolari ricevono soprattutto proiezioni provenienti dai recettori articolari e muscolari della nuca e degli arti inferiori, dai recettori propriocettivi della muscolatura extraoculare, dalla
corteccia, dal cervelletto e dai nuclei vestibolari omologhi controlaterali (rapporti intercommissurali). I nuclei vestibolari confrontano e integrano tutte queste informazioni. Le uscite motorie possono essere dirette (riflesse), oppure indirette (volontarie e altre).
Anatomia
Il complesso dei nuclei vestibolari è formato da quattro nuclei
principali (superiore, mediano, laterale, discendente) che costituiscono una delle strutture nervose più importanti del tronco cerebrale. Questa struttura è situata sotto il pavimento del IV ventricolo. Alcuni gruppi cellulari sono associati a questo insieme.
Principali caratteristiche dei nuclei vestibolari (fig 5)
– Il nucleo vestibolare superiore (nucleo di Bechterew) è situato sotto il pavimento laterale del IV ventricolo, limitato posteriormente dal peduncolo cerebellare superiore e lateralmente dal corpo iuxtarestiforme situato posteriormente rispetto al nucleo mediano. Le afferenze labirintiche raggiungono prevalentemente la parte centrale di questo nucleo e sono di origine ampollare. Sul nucleo di Bechterew si proiettano anche numerose fibre di origine cerebellare. La maggior parte delle efferenze provenienti da questo nucleo percorre il fascio longitudinale mediano (FLM) omolaterale ascendente e raggiunge i nuclei oculomotori.
– Il nucleo vestibolare mediano o di Schwalbe (o nucleo triangolare), grazie alle sue dimensioni, costituisce insieme al nucleo discendente una delle due strutture più importanti del complesso vestibolare. È limitato rostralmente dal nucleo superiore e ventralmente dal nucleo discendente, ed è separato nettamente dal nucleo vestibolare laterale mediante la stria acustica dorsale. Le sue afferenze labirintiche sono prevalentemente di origine ampollare, ma riceve anche afferenze di origine utricolare. Alcune efferenze ascendenti si proiettano da una parte verso i nuclei oculomotori seguendo il fascio longitudinale mediano controlaterale e dall’altra sul cervelletto. Alcune efferenze discendenti formano un fascio vestibolospinale mediano (FVSM).
– Il nucleo vestibolare laterale (o nucleo di Deiters) è limitaton ventralmente dal nucleo discendente, dal nervo vestibolare e dal nucleo interstiziale del nervo vestibolare praticamente in tutta la sua lunghezza. Questo nucleo è generalmente diviso in due, con una regione dorsocaudale e una regione rostroventrale, in funzione delle connessioni afferenti. Sulla regione rostroventrale si proiettano le afferenze maculari e, in misura minore, le afferenze ampollari. Sulla regione dorsocaudale si proiettano afferenze provenienti dal cervelletto e dal midollo spinale. Da questa regione nascono il fascio vestibolospinale laterale (FVSL), con una proiezione ventrorostrale sul midollo cervicale e toracico, e una proiezione dorsocaudale sul
midollo lombare.
– Il nucleo vestibolare discendente (o di Roller) è limitato lateralmente per quasi tutta la sua lunghezza dal peduncolo cerebellare inferiore. Riceve afferenze labirintiche (maculari e creste ampollari), afferenze cerebellari e fibre provenienti dal midollo lombare. Alcune efferenze si dirigono verso il lobo flocculonodulare, il nucleo del fastigium e, bilateralmente, verso il midollo spinale attraverso il fascio vestibolospinale mediano.
– Tra i nuclei accessori, ricordiamo il nucleo interstiziale del nervo vestibolare, descritto da Ramon y Cajal nel 1896, e il gruppo y, che ricevono rispettivamente afferenze ampollari e sacculari. Attraverso le proprie proiezioni sui nuclei oculomotori, il nucleo di Cajal partecipa alla generazione del riflesso vestibolo-oculare e sarebbe un centro premotorio coinvolto nell’organizzazione dei movimenti saccadici verticali. Gli altri nuclei accessori (x, z, f, g, l) generalmente non sono considerati appartenenti al complesso dei nuclei vestibolari, in quanto non ricevono afferenze vestibolari primarie.

Aspetti fisiologici

Risposte dei neuroni vestibolari centrali in seguito a stimolazione
elettrica

Lo studio dei potenziali extracellulari registrati in seguito a stimolazione elettrica del nervo vestibolare permette di distinguere due tipi di potenziali: un potenziale N1, composto dai potenziali d’azione dei neuroni vestibolari secondari eccitati monosinapticamente dalle fibre labirintiche, e un potenziale N2, che rappresenta l’attivazione polisinaptica dei neuroni dei nuclei vestibolari.
Risposte dei neuroni vestibolari centrali in seguito a stimolazioni rotatorie
Secondo la classificazione di Duensing e Schaeffer si distinguono quattro tipi di unità canalari in funzione della risposta a un’accelerazione angolare nel piano del canale in esame. I neuroni
di tipo I forniscono risposte paragonabili a quelle dei neuroni afferenti primari: in altre parole, vengono stimolati dalla rotazione omolaterale del capo e inibiti da una rotazione controlaterale. I
neuroni detti di tipo II presentano risposte contrarie. La latenza della risposta è ritardata. Questo effetto può dipendere dalle connessioni commissurali a partire dalla sostanza reticolare o anche direttamente dai neuroni controlaterali di tipo I, oppure da una rete di interneuroni situati nel nucleo stesso. Neuroni di tipo III e IV, poco numerosi, rispondono rispettivamente mediante un aumento e una diminuzione della frequenza di scarica indipendentemente dal senso della rotazione. Fra i diversi tipi di neuroni, alcuni hanno un comportamento fasico e altri hanno un comportamento tonico che riproduce il pattern di attività riscontrato nei neuroni vestibolari primari. Sembrerebbe che la frequenza di scarica dei neuroni sia in rapporto con
l’accelerazione dello spostamento angolare nell’ambito dei movimenti lenti, e con la velocità degli stessi spostamenti durante i movimenti più rapidi. Risposte dei neuroni vestibolari centrali in seguito a inclinazioni statiche Duensing e Schaeffer hanno stilato anche una classificazione basata sul rapporto tra il senso delle inclinazioni del capo e l’ampiezza delle risposte delle unità vestibolari. In tal modo, durante un’inclinazione laterale e un’inclinazione anteroposteriore esistono quattro tipi di unità neuronali, chiamati rispettivamente alfa, beta, gamma, delta e 1, 2, 3, 4. Un’inclinazione laterale del capo comporta un’attivazione dei neuroni alfa omolaterali e un’inibizione dei neuroni alfa controlaterali. Un pattern di risposte contrarie viene registrato per i neuroni beta. Gli altri neuroni rispondono, indipendentemente dal senso dell’inclinazione, o con un aumento o con una riduzione della loro frequenza di scarica. Le prime due unità sono attivate monosinapticamente e le ultime due polisinapticamente. Esistono inoltre unità toniche e fasiche. Secondo Xerri e al, sembra che le informazioni di origine maculare siano sottoposte a un’elaborazione centrale maggiore rispetto alle informazioni di origine ampollare. Nell’ambito dei
nuclei laterali di Deiters si distinguono nel gatto:
– una popolazione neuronale (un terzo) che effettua la codificazione dell’accelerazione. Queste unità sono relais dell’attività delle afferenze primarie otolitiche;
– una popolazione neuronale che integra le informazioni primarie. Alcuni neuroni eseguono una codificazione direzionale della velocità e altri una codificazione della velocità assoluta dello spostamento, indipendentemente dal senso dello spostamento;
– una popolazione neuronale la cui frequenza di scarica aumenta in relazione con il segnale di posizione dello spostamento.

Fisiologia Udito

La fisiologia dell’udito include la fisiologia dell’orecchio esterno, medio e interno, nonché la fisiologia del sistema nervoso uditivo. Lo scopo di questo articolo è quello di dare al lettore una visione d’insieme sulle modalità con cui l’orecchio traduce il segnale acustico in un segnale organizzato di attività neurale che permette il trattamento centrale e la percezione uditiva. L’orecchio estrae l’informazione frequenziale, di intensità e temporale dallo stimolo sonoro. Tutte le connessioni centrali, che siano ascendenti o discendenti, permettono di moltiplicare le opportunità di convergenza e di divergenza dell’informazione sonora fino alla corteccia, di effettuare un trattamento del segnale in parallelo e/o in serie e di modulare

mediante feedback l’attività dei centri sottostanti.
La fisiologia del sistema uditivo è stata oggetto di progressi considerevoli da una ventina d’anni, non solo per quanto riguarda l’analisi della funzione dell’orecchio medio e della
coclea, ma anche dei centri uditivi. È stato possibile ottenere questi progressi importanti solo grazie allo sviluppo di numerose tecniche biologiche innovative e alla comparsa di modelli
complessi applicati ai centri nervosi. Questo nuovo articolo si propone di presentare uno stato dell’arte della fisiologia del sistema uditivo insistendo sulle sue novità, alcune delle quali hanno rivoluzionato le nostre conoscenze sulla funzione del sistema uditivo.

Fisiologia dell’orecchio esterno e dell’orecchio medio

  • Orecchio esterno
    L’orecchio esterno ha una doppia funzione: una funzione protettiva dell’orecchio medio e in modo particolare della membrana timpanica e, soprattutto, una funzione di amplificazione. L’orecchio esterno modifica la percezione del campo sonoro amplificando alcune frequenze, ma aumenta anche la direzionalità a causa della diffrazione delle onde sonore sull’insieme del volume cranico e dell’orecchio esterno, in particolare del padiglione uditivo. 
    Funzione di trasferimento dell’orecchio medio L’orecchio esterno modifica la fase e l’ampiezza del segnale sonoro incidente in funzione dell’angolo di incidenza e della frequenza del segnale sonoro. Queste alterazioni corrispondono alla funzione di trasferimento dell’orecchio esterno; ogni struttura anatomica contribuisce allo stabilirsi di questa funzione (Fig. 1 e 2). La Figura 1 rappresenta la funzione di trasferimento dell’orecchio esterno nell’uomo in funzione della frequenza del suono incidente e del suono azimut. La Figura 2 riporta l’amplificazione fornita nell’uomo dall’orecchio esterno per un azimut di 45° in funzione della frequenza del suono
    incidente. L’amplificazione massima è dell’ordine di 20 dB per le frequenze comprese tra 2 e 3 kHz. Nell’uomo l’amplificazione di un suono la cui frequenza è compresa tra 2 e 6 kHz varia di circa 20 dB quando l’azimut è compreso tra – 90° e 90°. Si è potuto studiare il contributo di ogni elemento del volume corporeo e dell’orecchio esterno a questa funzione di trasferimento globale. Il volume corporeo (tronco, collo, testa)
    induce un’amplificazione del suono di circa 10 dB con una debole selettività frequenziale. L’orecchietta (il padiglione nella vecchia denominazione anatomica) permette un’amplificazione con un guadagno inferiore a 10 dB per le frequenze comprese tra 5 e 6 kHz. Il meato acustico esterno e la membrana timpanica
    interessano le frequenze vicine da 2 a 5 kHz. Localizzazione delle fonti sonore: ruolo
    dell’orecchio esterno Lo studio della funzione di trasferimento della testa e dell’orecchio esterno si applica direttamente all’ascolto biauricolare e alla localizzazione tridimensionale delle sorgenti sonore (suono a tre dimensioni). Il principio consiste nel restituire, per mezzo di cuffie alle quali si applicano dei precisi segnali di fase e di pressione, un’impressione di volume sonoro. Tale tecnica è ampiamente utilizzata, in particolare nei cockpit degli aerei: un segnale sonoro che sembra provenire da una fonte precisa attira l’attenzione del pilota su una funzione difettosa.

  • Orecchio medio
    Il ruolo principale dell’orecchio medio è quello di trasformare le vibrazioni sonore aeree che giungono alla membrana timpanica in variazioni di pressione nei compartimenti liquidi dell’orecchio interno (Fig. 3). Una tale trasformazione impone
    di adattare l’impedenza tra l’ambiente esterno, aereo, e l’ambiente interno cocleare, liquido. L’orecchio medio ha anche un ruolo di protezione nei confronti dell’orecchio interno.
    Funzione di trasferimento dell’orecchio medio e adattamento di impedenza
    I modelli che permettono di analizzare le vibrazioni dell’orecchio medio sono relativamente complessi nella misura in cui devono integrare dei movimenti nelle tre dimensioni, di ampiezza microscopica, e sottoposti a una notevole variabilità
    individuale e interspecie.
    Spostamenti della membrana timpanica
    Gli spostamenti del timpano sono stati studiati nell’animale con diverse tecniche: misurazione della pressione acustica all’interno dell’orecchio medio in presenza di uno stimolo acustico (misurazione dello spostamento volumetrico), misurazione diretta degli spostamenti del timpano per effetto Mössbauer, interferometria laser o interferometria olografica. Queste tecniche hanno permesso di mettere in evidenza il carattere microscopico degli spostamenti in causa. Lo spostamento medio della membrana timpanica per unità di pressione (per Pascal) varierebbe quindi da 1,2 a 10 × 10– 8 m. Khanna e Tonndorf hanno riscontrato nel gatto due zone del timpano che presentano un massimo di ampiezza delle vibrazioni da ogni lato del manico. I movimenti del martello stesso sembrano però essere di ampiezza meno grande rispetto a quelli della membrana timpanica. Questo modello sembra essere valido per frequenze inferiori a 6 kHz. Per frequenze superiori le zone di vibrazione del timpano sono multiple.
    Spostamenti della catena degli ossicini
    L’accoppiamento meccanico tra il timpano e il manico del martello fa sì che una forza che agisce sul timpano sia trasmessa al martello. Le modalità precise di questo accoppiamento sono tuttavia ancora in parte ignote. L’asse di rotazione degli ossicini
    e di sospensione dei legamenti ossiculari coincide con il centro di inerzia rotazionale degli ossicini, creando così un fenomeno di leva. Più ci si allontana da questo asse di equilibrio, più lo spostamento della membrana timpanica è importante. Il rapporto di leva viene stimato con la misurazione del rapporto tra la distanza tra l’umbo e l’asse di rotazione e la distanza tra l’asse di rotazione e l’articolazione vocale incudostapediana. Più recentemente, Decraemer e Khanna [3] hanno dimostrato che l’asse di rotazione non è fisso ma che la sua posizione varia in funzione della frequenza, modificando di conseguenza il rapporto di leva, e che il movimento osservato non è soltanto un movimento di rotazione ma che esiste una componente di traslazione. La componente di rotazione è essenziale quando il sistema è stimolato a basse frequenze; ad alte frequenze la componente di traslazione sembra dominare sulla rotazione del blocco martello-incudine. Con tali conoscenze sui movimenti del martello, la semplice nozione di rapporto di leva della catena degli ossicini deve essere rivista. I movimenti della staffa
    possono essere paragonati ai movimenti di un pistone che entra ed esce della finestra ovale.
    Adattamento di impedenza dell’orecchio medio
    Il ruolo del trasformatore di impedenza dell’orecchio medio consiste nel trasformare le vibrazioni con basse pressioni e grandi spostamenti dell’aria in vibrazioni ad alta energia con bassi spostamenti che permettono una conduzione nei liquidi del labirinto. I tre fattori che permettono questo meccanismo sono essenzialmente:
    - il rapporto di superficie tra la membrana timpanica e il piatto della staffa: il rapporto di superficie è di circa 20-30. La forza applicata sulla membrana timpanica su una vasta
    superficie è ritrasmessa sul piatto della staffa con un incremento della pressione proporzionale al rapporto delle superfici. Alcuni autori hanno stimato che una parte della membrana timpanica non giocava un ruolo attivo perché fissata all’anulus e hanno fissato quindi il rapporto delle superfici attive in 14/1; 
    - il braccio di leva della catena degli ossicini martello-incudine:
    il manico del martello in proiezione appare più lungo del ramo discendente dell’incudine di un fattore 1,15-2,5. Lo spostamento trasmesso alla staffa dall’incudine è quindi
    inferiore allo spostamento determinato dalla vibrazione sul martello;
    - un terzo fattore più trascurabile si trova nella stessa membrana
    timpanica. La risultante di questi tre fattori porta a un guadagno di un fattore 180. La trasmissione del suono tra un mezzo gassoso e un ambiente liquido senza adattamento di impedenza perderebbe più del 99% dell’energia acustica, che corrisponde a un’attenuazione sonora di circa 30 dB. Il meccanismo di trasformazione di impedenza che l’orecchio medio esercita nell’uomo permetterebbe di trasmettere fino ai
    due terzi dell’energia in direzione della coclea.
    Funzione di trasferimento dell’orecchio medio
    L’adattamento di impedenza esercitata dall’orecchio medio non è omogeneo su tutte le frequenze (Fig. 3). Nedzelnitsky ha mostrato un picco di trasmissione nel gatto attorno a 1 kHz. La trasmissione è meno efficace sulle frequenze più basse e più alte. Risultati simili vengono ottenuti con delle rocche umane. I fattori che interessano le basse e le alte frequenze sono tuttavia probabilmente diversi, poiché la membrana timpanica
    e particolarmente la sua elasticità svolgono un ruolo importante sulle basse frequenze, mentre sulle alte frequenze la messa in gioco dei risonatori dell’orecchio medio appare predominante. L’impedenza di ingresso dell’orecchio interno è definita dal
    rapporto tra la pressione acustica nella rampa vestibolare in corrispondenza del piatto della staffa e il volume di perilinfa spostato da questo piatto per unità di tempo.
    I movimenti del piatto della staffa non sono solo limitati dall’inerzia della perilinfa, ma dipendono anche dalla compliance della membrana basilare. L’impedenza di ingresso dell’orecchio interno è di tipo resistivo, cosa che determina due conseguenze: tutta l’energia acustica incidente viene dissipata nella coclea e le risonanze che si verificano nell’orecchio medio vengono attutite.
    Funzione di protezione dell’orecchio interno
    La funzione di protezione è esercitata essenzialmente dai muscoli dell’orecchio medio. Il muscolo del martello o tensore del timpano si inserisce sul manico del martello. La sua contrazione spinge il martello anteriormente e medialmente. Il secondo muscolo è il muscolo stapedio, che si inserisce nella parte posteriore della staffa e la cui contrazione tira la staffa posteriormente. La contrazione di questi due muscoli determina un aumento di rigidità della catena degli ossicini. I meccanismi fisiologici di contrazione riflessa del muscolo del martello sono meno noti rispetto a quelli del muscolo stapedio, e spesso per riflesso acustico si intende il solo riflesso dello stapedio.
    L’effetto del riflesso acustico è particolarmente netto sulle basse frequenze, determinando una riduzione dell’ordine di 15 dB nel ratto. Altri studi hanno descritto delle attenuazioni molto più basse dell’ordine di 2 dB per intensità di 20 dB al di sopra della soglia di riflesso, particolarmente per frequenze acute. I muscoli dell’orecchio medio si contraggono in risposta a suoni di intensità superiore a 80 dB. L’arco riflesso corrispondente è polisinaptico e passa per il tronco cerebrale. Poiché il muscolo della staffa è innervato dal nervo facciale, l’arco riflesso corrispondente costituisce un circuito acusticofacciale che passa per il nucleo cocleare ventrale e il nucleo del nervo facciale. Il muscolo del martello invece, innervato dal nervo trigemino, è coinvolto in un arco riflesso acusticotrigeminale. Sono state descritte delle vie multisinaptiche di più lunga latenza che seguono la sostanza reticolare.
    Il tempo di reazione di questi riflessi acustici è limitato dal tempo sinaptico di ogni relè. La latenza del riflesso stapediano o del muscolo del martello è quindi di almeno 7-10 ms, dipendendo dall’intensità del suono incidente. Questo riflesso può rivestire un ruolo protettivo dell’orecchio medio in caso di impulso sonoro troppo forte con, tuttavia, un effetto limitato dal tempo di reazione, dalla scarsa attenuazione e dai fenomeni di affaticabilità. Il secondo effetto del riflesso acustico sarebbe quello di aumentare la selettività frequenziale con, in particolare, un’attenuazione maggiore delle basse frequenze. Ciò può influenzare, per esempio, la comprensione dei suoni complessi
    come la parola nel rumore.
    ? Fisiologia dell’orecchio interno e del nervo uditivo
    Le nostre conoscenze sulla fisiologia della coclea sono state rivoluzionate da una quindicina d’anni; il sistema uditivo periferico dell’inizio del XXI secolo non ha niente a che vedere con quello degli anni Ottanta. Questi sconvolgimenti sono dovuti allo sviluppo di nuove tecniche di ricerca in neurofisiologia così come in biologia cellulare e molecolare. Basi morfologiche della coclea La coclea è ricoperta da una parete ossea, la capsula otica. Questa è formata da tre rampe avvolte a spirale intorno a un asse osseo che porta il nome di modiolo (Fig. 4, 5). Le rampe vestibolari e timpaniche sono piene di perilinfa e formano il compartimento perilinfatico. Queste due rampe comunicano tra di loro nella parte più apicale della spirale cocleare attraverso un orifizio denominato elicotrema. Le rampe vestibolari e timpaniche sono isolate dall’orecchio medio nella parte più basale della spirale cocleare dalla finestra ovale e dalla finestra rotonda. La coclea permette la circolazione delle onde di pressione generate dai suoni. La porta d’ingresso del segnale acustico è la finestra ovale, sulla quale è legato il piatto della staffa. L’onda di pressione si diffonde lungo la spirale formata dall’organo del Corti. Essendo i liquidi indeformabili, l’aumento di pressione prodotto viene eliminato attraverso la finestra rotonda. Le rampe vestibolari e timpaniche circondano il canale cocleare pieno di endolinfa. Il canale cocleare è delimitato dalla membrana di Reissner, dalla stria vascolare e dall’organo del Corti, sede della meccanotrasduzione. La perilinfa e l’endolinfa differiscono profondamente per il loro contenuto ionico. Mentre la perilinfa ha una composizione molto vicina ai liquidi extracellulari e al liquido cefalorachidiano, l’endolinfa è caratterizzata da un’estrema ricchezza di potassio. Questa differenza nella composizione ionica dei due fluidi cocleari si traduce con la presenza di un potenziale endolinfatico, chiamato potenziale endococleare, situato a circa +80 mV. L’organo del Corti poggia sulla membrana basilare e si avvolge dalla base all’apice della spirale cocleare (Fig. 5). Esso è composto da cellule sensoriali, le cellule ciliate, da fibre nervose, da cellule di sostegno e da cellule annesse non sensoriali (Fig. 6).


La trasduzione delle informazioni meccaniche in segnali elettrochimici è assicurata dalle cellule sensoriali. Queste ultime sono ricoperte al loro polo apicale da tre file di stereociglia, alle quali devono il loro nome di cellule ciliate (Fig. 7, 8). Esistono due tipi di cellule ciliate, disposte da una parte e dall’altra del tunnel di Corti: le cellule ciliate esterne (CCE) e le cellule ciliate interne (CCI). Le CCE hanno il ruolo di amplificare l’onda sonora e le CCI quello di tradurre l’informazione sonora in messaggio nervoso. Mentre le stereociglia delle cellule ciliate nuotano nell’endolinfa, il loro corpo cellulare è localizzato nel compartimento perilinfatico (Fig. 6). Le stereociglia, costituite soprattutto da actina, sono in numero di un centinaio per cellula ciliata e sono disposte su tre file. Esse sono collegate tra loro da numerosi legami trasversali e da legami terminali (tiplinks). Questi ultimi hanno una struttura a doppia elica e sono costituiti dalla combinazione di diverse caderine 23. Le
stereociglia più lunghe delle CCE sono ancorate in una struttura amorfa che ricopre l’organo del Corti, la membrana tectoria. Quest’ultima è composta da fibre collagene e da proteine come la a - e b -tectorina e l’otogelina.
Cellule ciliate esterne
Le cellule ciliate esterne, localizzate sul bordo esterno della spirale cocleare, sono organizzate in tre file e sono in numero di circa 13.000 per coclea nell’uomo. Da un punto di vista
morfologico le CCE hanno una forma perfettamente cilindrica e la loro lunghezza cresce regolarmente dalla base all’apice della coclea. Le loro stereociglia sono disposte a W sulla loro placca cuticolare. La rigidità delle stereociglia varia dalla base all’apice in un rapporto di circa 1 a 10 per la prima fila e di circa 1 a 40 per la terza fila. Questa rigidità dipende dal senso di
deflessione delle ciglia: è più alta per una deflessione verso l’esterno rispetto all’asse della coclea. Queste misure permettono di valutare la frequenza di risonanza delle ciglia delle CCE,
tenendo conto del loro accoppiamento con la membrana tectoria. Questa frequenza di risonanza varia dalla base della coclea al suo apice di un fattore 20 nella gamma delle frequenze udibili, ossia di 1,2-22 kHz nella cavia. Questa rigidità delle stereociglia è molto sensibile ai traumi sonori. Dopo una stimolazione sonora rilevante una restitutio ad integrum della funzione ciliare è possibile entro limiti ragionevoli quando la funzione cellulare è normale. Le CCE sono separate lateralmente tra di loro dagli spazi di Nuel. Sono in contatto con le cellule di Deiters soltanto al loro polo apicale e basale. Il polo apicale delle CCE e l’estremità delle falangi di Deiters formano la lamina reticolare, un mosaico
perfettamente adeso all’endolinfa. La parete laterale è tappezzata da un complesso di cisterne laterali e di mitocondri. Il nucleo delle CCE è localizzato alla base delle cellule, appena al di sopra del compartimento sinaptico che racchiude molti mitocondri.
Vi sono pochi dati sulla registrazione elettrica delle CCE in vivo poiché il posizionamento e il mantenimento di un microelettrodo intracellulare sono difficili. Queste difficoltà sono dovute alla scarsa fissità delle CCE nello spazio di Nuel, alla motilità delle CCE, alle loro piccole dimensioni e alla resistenza alla penetrazione della loro parete laterale. Nella cavia la parte essenziale delle registrazioni è stata effettuata nel terzo giro cocleare. Il potenziale a riposo intracellulare è negativo, compreso tra –53 mV e –70 mV dall’apice alla base. Sotto
l’influenza di una stimolazione sonora le deflessioni posteriori delle stereociglia in un senso e poi nell’altro creano delle serie di depolarizzazione (inclinazione delle ciglia verso l’esterno) e di iperpolarizzazione (inclinazione delle ciglia verso l’interno). In risposta a uno stimolo sonoro, è dunque possibile registrare due componenti elettriche sovrapposte (Fig. 9): una componente continua che riproduce l’aspetto dello stimolo acustico e una componente alternata che riproduce la sua frequenza. La componente continua è il più delle volte positiva, con una conseguente depolarizzazione per la CCE, salvo che per le frequenze inferiori alla frequenza tipica della cellula alla quale la cellula si iperpolarizza. Sembra esistano importanti variazioni delle proprietà elettriche delle CCE in funzione della loro posizione sulla membrana basilare. Le CCE della base nonsembrano quindi avere risposta elettrica continua (frequenza tipica prossima a 20 kHz nella cavia), che è invece presente nelle CCE delle regioni più apicali. Le CCE presentano una selettività frequenziale molto elevata. Dallos ha potuto registrare delle curve di accordo (curve di risposte isoelettriche) delle CCE dell’apice che mostrano una frequenza caratteristica ma ben determinata degli indici di selettività, che sembravano un po’ meno efficaci di quelli osservati nelle CCI della base della coclea.
Cellule ciliate interne
Le CCI si distinguono dalle CCE per la forma a pera del loro corpo cellulare (Fig. 7). Le CCI, in numero di 3 500 per coclea, sono situate sul bordo interno dell’organo del Corti e sono
organizzate su una singola fila. Contrariamente alle CCE, le stereociglia sono disposte in linea e non sono ancorate alla membrana tectoria. Il nucleo è in posizione mediana e la
membrana plasmatica laterale è classica. Anche se tre volte meno numerose delle CCE, le CCI sono le vere e proprie cellule sensoriali. Esse assicurano allo stesso tempo la trasduzione
della vibrazione meccanica in segnale elettrico e il trasferimento dell’informazione mediante la liberazione di neurotrasmettitore sulle fibre del nervo uditivo. Le zone attive
delle CCI sono caratterizzate dalla presenza di una struttura densa agli elettroni denominata bastoncino (Fig. 10). Questi corpi sinaptici sono ancorati alla membrana plasmatica e
circondati da vescicole sinaptiche, le quali contengono il neurotrasmettitore delle CCI. Fino a oggi, RIM, Ribeye, KIF3A, Bassoon e Piccolo sono state le sole proteine associate ai
bastoncini delle cellule sensoriali. Generalmente vi è un solo bastoncino per zona attiva e una decina di zone attive per CCI. Ogni zona attiva è connessa mediante la terminazione di una singola fibra del nervo uditivo.
La prima registrazione delle cellule ciliate interne è stata eseguita da Russel e Sellick. Queste cellule presentano un potenziale di riposo negativo di –40 mV alla base e di –32 mV all’apice. Quando la cellula è stimolata da un suono, presenta una risposta elettrica a due componenti. La componente continua riproduce lo sviluppo dello stimolo acustico mentre la
componente alternata ne segue la frequenza. Ogni CCI ha una risposta elettrofisiologica molto dipendente dalla frequenza del suono che stimola. È possibile tracciare delle curve isoelettriche (intensità di stimolazione necessaria per ottenere una risposta della cellula di una data ampiezza secondo la frequenza di stimolazione) che presentano una selettività in frequenza molto forte, sia che la misura venga eseguita sulla componente continua o sulla componente alternata della risposta. Queste
curve di accordo sono paragonabili sia a quelle ottenute studiando lo spostamento puramente meccanico della membrana basilare (sulla quale poggia l’organo del Corti) nel punto dove poggia la CCI che a quelle ottenute studiando l’attività unitaria delle fibre afferenti che nascono sotto la cellula ciliata interna studiata (Fig. 11).
Innervazione dell’organo del Corti
L’organo del Corti riceve una doppia innervazione, allo stesso tempo afferente ed efferente (Fig. 12). L’innervazione afferente ha origine dai neuroni di tipo I e II del ganglio spirale, i cui assoni proiettano verso i nuclei cocleari. L’innervazione efferente ha origine da neuroni che appartengono a due distinti sistemi i cui corpi cellulari si localizzano nei nuclei del tronco
cerebrale. Il prolungamento assonale dell’insieme di questi neuroni costituisce il nervo cocleare.
Innervazione afferente
L’innervazione afferente dell’organo del Corti ha origine dai neuroni uditivi primari, i cui corpi cellulari sono situati a livello del ganglio spirale. Quest’ultimo è situato nell’asse della coclea
(modiolo). I neuroni uditivi primari sono neuroni bipolari. Questi sono di due tipi, chiamati neuroni gangliari di tipo I e neuroni gangliari di tipo II. I loro prolungamenti periferici
terminano nell’organo del Corti, a contatto con le cellule ciliate, e il loro prolungamento centrale termina nei nuclei cocleari del tronco cerebrale.

 

 

 

 

 

L’innervazione afferente delle CCI è assicurata da neuroni gangliari di tipo I (Fig. 12). I neuroni di tipo I rappresentano il 95% della popolazione neuronale del ganglio spirale. Sono dei neuroni mielinici di grandi dimensioni, raggruppati intorno al soma. Essi possiedono una branca periferica unica, anch’essa mielinizzata fino all’ingresso dell’organo del Corti, che proietta verso le CCI e si connette mediante un singolo bottone dendritico a una sola CCI. Parecchi neuroni di tipo I vanno a contattare una stessa CCI (in media una decina per CCI).
Nell’uomo esistono quindi circa 30 000 neuroni di tipo I per 3 500 CCI.
Il neurotrasmettitore utilizzato dalle CCI è il glutammato. Il glutammato è un aminoacido eccitatorio utilizzato dalla grande maggioranza delle sinapsi del sistema nervoso centrale.
La sua liberazione eccessiva può tuttavia diventare tossica (fenomeno di eccitotossicità). In questo caso i recettori postsinaptici si trovano sovrastimolati, provocando un flusso ionico
molto importante nella cellula, seguito da un ingresso massivo di acqua per fenomeno osmotico. La terminazione sinaptica si rigonfia e quindi scoppia. I neuroni gangliari di tipo I hanno però la capacità di formare dei nuovi prolungamenti e di ristabilire delle sinapsi funzionali con le CCI dopo uno shock eccitotossico. L’innervazione afferente delle CCE è assicurata da neuroni gangliari di tipo II (Fig. 12). Questi ultimi rappresentano una
popolazione minoritaria in seno al ganglio spirale: essi costituiscono
in effetti appena il 5% della popolazione neuronale di questa struttura. I neuroni di tipo II sono più piccoli dei neuroni di tipo I e, contrariamente a questi ultimi, non sono
mielinizzati. Il prolungamento periferico di questi neuroni è ramificato. Ogni neurone di tipo II va così a stabilire delle sinapsi con una decina di CCE diverse, che appartengono
generalmente alla stessa fila. La natura del neurotrasmettitore utilizzato da queste sinapsi e il ruolo di questo sistema afferente sono attualmente sconosciuti. In effetti, i neuroni di tipo II non sembrano rispondere agli stimoli sonori a forte intensità. Innervazione efferente La coclea è un organo controllato dai centri superiori. Le cellule ciliate ricevono un’innervazione massiva da parte dei due sistemi efferenti, i cui corpi cellulari originano dall’oliva
bulbare. Il sistema efferente mediano innerva direttamente le CCE, mentre il sistema efferente laterale innerva i dendriti delle fibre di tipo I del nervo uditivo. L’innervazione efferente dei dendriti dei neuroni di tipo I è assicurata dal sistema olivococleare efferente laterale (Fig. 12). I neuroni originano dall’oliva superiore laterale situata nel tronco cerebrale. Le fibre del sistema efferente laterale contattano direttamente i dendriti dei neuroni di tipo I del nervo uditivo, appena sotto il bottone sinaptico formato con la CCI (Fig. 10). Il sistema efferente laterale utilizza diversi neurotrasmettitori tra cui l’acetilcolina, l’acido gamma-aminobutirrico (GABA), la dopamina e dei neuromodulatori, il Calcitonine Gene-Related
Peptide (CGRP), le encefaline e le dinorfine. Pochi sono i dati attualmente disponibili sul ruolo fisiologico di questo sistema. La dopamina liberata dal sistema efferente laterale rappresenta un adattatore di guadagno che permette di adattare la soglia e la dinamica di risposta delle fibre in funzione del segnale di entrata. L’applicazione intracocleare di dopamina provoca una riduzione dell’attività spontanea delle fibre del nervo uditivo e un aumento della soglia di risposta alla stimolazione sonora. La dopamina riveste quindi un ruolo inibitore sulle attività dei neuroni uditivi primari. L’applicazione di antagonisti della dopamina provoca invece un aumento dell’attività spontanea dei neuroni uditivi primari e un miglioramento della sensibilità alla soglia. L’aumento dell’attività spontanea riflette probabilmente una rimozione di inibizione tonica a livello del sito d’inizio del messaggio uditivo. Se questi risultati dimostrano che l’attività delle fibre del nervo uditivo è dipendente dalla liberazione tonica di dopamina da parte del sistema efferente laterale, lavori recenti suggeriscono che l’attività secretrice delle diverse zone attive di una CCI può anche contribuire alle differenze di attività spontanee delle fibre che innervano la CCI. L’innervazione efferente delle CCE è assicurata dal sistema olivococleare efferente mediano (Fig. 12) , così chiamato per la presenza dei corpi cellulari dei neuroni nel nucleo mediodorsale del corpo trapezoide, sul contorno del complesso olivare superiore mediano. Il contatto tra le CCE e i neuroni del sistema efferente mediano avviene con l’intermediazione di grosse terminazioni assoniche. Il neurotrasmettitore utilizzato dal sistema efferente mediano è l’acetilcolina. L’acetilcolina, liberata dal sistema efferente mediano, attiva dei recettori nicotinici a 9 e a 10. Queste sub-unità nicotiniche conferiscono ai recettori nicotinici delle CCE un profilo farmacologico determinato: questi recettori sono bloccati dalla stricnina (antagonista glicinergico), dalla bicucullina (antagonista
gabaergico) e dalla nicotina e la muscarina. L’attivazione dell’ a9-10 da parte dell’acetilcolina determina l’ingresso di calcio, che a sua volta attiva dei canali per il potassio sensibili
al calcio SK. Questi ultimi assicurano l’uscita del potassio e, di conseguenza, provocano l’iperpolarizzazione delle CCE (Fig. 8). Controllando il potenziale di membrana delle CCE, il sistema efferente mediano modula dunque l’attività di queste cellule, il cui ruolo principale è quello di amplificare l’intensità delle onde sonore. La riduzione del guadagno dell’amplificatore cocleare permette al sistema efferente mediano di assicurare una protezione alle alte intensità di stimolazione. Notiamo così che il sistema efferente mediano è attivato anche in caso di processo di attenzione selettiva, che siaesso visivo o uditivo. Questo sistema è fortemente inibito dall’anestesia. Basi funzionali della coclea Selettività frequenziale cocleare
Nella coclea l’onda di pressione generata da un suono si diffonde lungo la membrana basilare dalla base all’apice della coclea. La vibrazione raggiunge la sua ampiezza massima in un
punto preciso, tanto più vicino all’apice quanto più la frequenza di stimolazione è grave. Questa tonotopia cocleare è valsa nel 1962 il premio Nobel per la medicina a Georg von Bekesy. Questa particolarità, dovuta alle proprietà strutturali e meccaniche della membrana basilare, è all’origine dell’analisi frequenziale dei suoni che arrivano alla coclea. Se questa tonotopia passiva permette di spiegare un primo livello di codificazione delle frequenze, questa codificazione è poco selettiva e non basta a spiegare il grado considerevole di sensibilità e di
selettività frequenziale della coclea. Di fatto, l’organo del Corti deve la sua sensibilità e la sua
selettività in frequenza alla presenza di meccanismi attivi endococleari. Gold, astrofisico inglese, fu il primo nel 1948 a realizzare un modello di coclea che comprendeva non solo le cellule trasduttrici classiche ma anche delle cellule in grado di produrre energia meccanica. La scoperta nel 1978 del fenomeno dell’otoemissione acustica da parte di David Kemp
ha permesso di rilanciare questa teoria e ha portato alla nozione attuale della fisiologia cocleare. Questi ultimi trovano la loro origine nelle proprietà elettromotrici delle CCE. In effetti le CCE si accorciano in risposta a una depolarizzazione e, viceversa, si allungano in risposta a un’iperpolarizzazione. Questi cambiamenti di dimensioni possono raggiungere
fino al 4% della lunghezza delle CCE e possono seguire delle frequenze di stimolazione compatibili con le frequenze udibili. La persistenza dell’elettromotilità dopo digestione delle reti citoscheletriche sotto-membranarie, con dialisi intracellulare di tripsina mostra che gli elementi motori responsabili dell’elettromotilità risiedono nella membrana plasmatica stessa. Un segno dell’elettromotilità è la capacità non lineare delle CCE. Questa riflette i movimenti di carico del motore in risposta a un cambiamento di potenziale transmembranario. La curva che esprime questa capacità della membrana in funzione del potenziale transmembranario
prende una caratteristica forma a campana (Fig. 13). L’identificazione della proteina prestina da parte dell’equipe del professor Dallos ha permesso di scoprire la natura del motore
molecolare all’origine dell’elettromotilità. In effetti, l’espressione della prestina in alcuni sistemi eterologhi provoca un cambiamento di lunghezza delle cellule in risposta a un salto di
potenziale e conferisce loro una capacità non lineare paragonabile
a quella delle CCE. [38] Diversamente dai canali ionici sensibili al potenziale, l’individuazione del potenziale transmembranario non è una proprietà intrinseca della prestina, ma è assicurata dagli ioni Cl– intracellulari. [39] L’assenza di ioni Cl– intracellulari abolisce in maniera reversibile la capacità membranaria non lineare. La fissazione di ioni Cl– alla prestina
e la loro traslocazione verso il lato citosolico o verso quello esterno della proteina, secondo il potenziale transmembranario, sarebbero responsabili di un cambiamento di conformazione
della proteina, modificando così la superficie della membrana (Fig. 13). Da notare che nei ratti l’invalidazione del gene prestina provoca una perdita di udito di 50 dB , ossia il guadagno
concesso dai meccanismi attivi, e una perdita della selettività in frequenza. Infine, una manifestazione in vivo dei meccanismi attivi è la presenza delle otoemissioni acustiche. Queste otoemissioni acustiche, testimoni dell’attività delle CCE, sono assenti nel topo prestina –/–. La doppia trasduzione meccanoelettrica ed elettromeccanica all’origine dei meccanismi attivi sottintesi dalle CCE può essere riassunta con la Figura 14. Le CCE sono strettamente accordate sulla frequenza da rilevare. Alle basse intensità di stimolazione acustica esse si
contraggono in fase con gli spostamenti della membrana, aumentando così considerevolmente (di un fattore 100 circa) gli spostamenti delle strutture che provocano la stimolazione delle CCI. Se la prestina conferisce alla coclea la sua sensibilità e la sua selettività in frequenza, anche un fenomeno di inibizione laterale associata a elettromotilità delle CCE può prendere parte alla selettività in frequenza. In effetti, la contrazione di una CCE
in risposta a un salto di potenziale depolarizzante determina l’iperpolarizzazione della CCE vicina e, di conseguenza, il suo allungamento. Dal lato delle CCI il numero di sinapsi varia in funzione della posizione sulla membrana basilare. Si riscontrano in effetti maggiori contatti sinaptici tra le CCI e i neuroni gangliari di tipo I nella regione più sensibile in frequenza. Citiamo l’esempio della «fovea» della coclea del pipistrello, nella quale si contano fino a 50 bottoni sinaptici per CCI. Trasduzione: le cellule ciliate interne La trasduzione dell’informazione meccanica in segnale elettrochimico può essere riassunta in cinque fasi.
Propagazione dell’onda meccanica nei fluidi cocleari. La vibrazione sonora trasmessa alla perilinfa dalla catena degli ossicini fa ondulare la membrana basilare dall’alto verso il basso. L’onda meccanica si diffonde lungo la membrana basilare con un picco massimo di ampiezza localizzato tanto più vicino alla base quanto più la frequenza è acuta (tonotopia passiva).

Questo spostamento, qualificato come passivo, è quello scoperto da Georg von Bekesy all’inizio degli anni Sessanta.
Stimolazione delle CCE
Il movimento di taglio della membrana tectoria provoca la deflessione delle stereociglia delle CCE, impiantate nella
membrana tectoria stessa. La deflessione di queste stereociglia determina la deflessione dell’insieme delle stereociglia grazie ai tip-links e ai legami trasversali. Il movimento delle stereociglia favorisce l’apertura dei canali cationici non specifici situati ad ogni estremità delle stereociglia. Questi canali, che appartengono probabilmente alla famiglia dei canali TRP (Transient Receptor Potential), lasciano entrare il potassio dell’endolinfa nelle CCE. Questa è una trasduzione meccanoelettrica. Messa in gioco dei meccanismi attivi Le CCE, depolarizzate dall’ingresso di potassio, si contraggono.
Questa contrazione modifica l’accoppiamento tra la membrana basilare e la membrana tectoria e amplifica localmente le vibrazioni della membrana basilare grazie ai meccanismi attivi, permettendo l’acquisizione di una tonotopia molto sottile. Questa è una trasduzione elettromeccanica. Il funzionamento della CCE si basa quindi su una doppia trasduzione meccanoelettrica e poi elettromeccanica (Fig. 14). Stimolazione delle CCI Analogamente alla CCE, la CCI che corrisponde alla frequenza
di stimolazione è attivata in risposta alla deflessione delle sue stereociglia. A differenza delle CCE le stereociglia delle
CCI, più grandi, non sono ancorate alla membrana tectoria: la deflessione delle stereociglia delle CCI è favorita dal contatto diretto con la banda di Hensen della membrana tectoria.
L’apertura dei canali meccanosensibili determina l’ingresso di potassio e conseguentemente depolarizza la CCI. Liberazione del neurotrasmettitore La depolarizzazione della CCI causa l’apertura dei canali del calcio sensibili al potenziale di tipo L. [48] L’afflusso di calcio
provoca la fusione delle vescicole sinaptiche alla membrana plasmatica. L’insieme delle vescicole sinaptiche delle CCI si divide in due popolazioni distinte. [49] Il primo contingente di
vescicole a fondersi è denominato RRP (Readily Releasable Pool) e corrisponde alle vescicole sinaptiche situate in prossimità dei canali del calcio. Il secondo contingente, chiamato SRP (Slowly Releasable Pool), è più lontano dai canali del calcio. Data la loro localizzazione, le vescicole del RRP si fonderanno prima di quelle del SRP (Fig. 10). La secrezione sinaptica mobilizza in parte le vescicole situate sulla faccia inferiore dei corpi sinaptici e risulta da una liberazione multivescicolare. Se l’esocitosi delle CCI è fortemente dipendente dal calcio, la
proteina sensibile al calcio e responsabile della fusione vescicolare resta ancora indeterminata. Una candidata può essere l’otoferlina, che presenta 6 domini C2, la cui funzione è quella
di legare i fosfolipidi in presenza di ioni calcio. Il neurotrasmettitore delle CCI, il glutammato, liberato nella fessura sinaptica, attiva quindi i recettori AMPA presenti sulle fibre del
nervo uditivo. Le cinetiche di attivazione e di desensibilizzazione di questi recettori sono molto rapide, il che permette una risposta delle fibre del nervo uditivo appropriato allo stimolo acustico. Un messaggio nervoso sarà allora veicolato dai neuroni uditivi di tipo I e inviato verso il sistema nervoso centrale.
Potenziali globali della coclea
La conoscenza delle proprietà elettrofisiologiche unitarie delle CCE ha permesso di comprendere meglio la fisiologia dei potenziali cocleari globali, conosciuti da quasi 60 anni. Questi potenziali globali corrispondono effettivamente alla somma delle attività unitarie delle cellule cocleari. Si possono registrare con un macroelettrodo posto sul promontorio (nell’uomo
con elettrococleografia) o con un elettrodo inserito nelle rampe timpanica e vestibolare della coclea. Questi potenziali complessivi provengono da un gran numero di cellule distanti
dal luogo di registrazione, a volte di un giro di spirale. Per migliorare la qualità delle registrazioni Tasaki et al. hanno sviluppato una tecnica di registrazione con elettrodi differenziali dove i due elettrodi sono collocati nelle rampe timpanica e vestibolare opposte, al fine di effettuare la differenza tra le tensioni raccolte. Questo metodo permette di eliminare i
segnali in fase sui due elettrodi che provengono da regioni lontane, così come il potenziale d’azione composito del nervo cocleare. In questo modo si registra soltanto l’attività di un
centinaio di cellule in linea di principio situate tutte nello stesso giro cocleare. L’eccitazione di tutte le cellule non è sincrona a causa degli intervalli di propagazione: questo impone di calcolare la media temporale di diverse risposte unitarie. Il segnale raccolto è complesso; esso comprende le risposte elettriche delle cellule ciliate con una componente alternata e una componente continua. La risposta alternata è il potenziale microfonico cocleare; esso riproduce la frequenza del suono che funge da stimolo.Questo potenziale microfonico è prodotto essenzialmente dalle CCE. Esso è proporzionale
all’ampiezza degli spostamenti di una zona ridotta di setto cocleare, ma questa relazione è valida solo per le frequenze inferiori alla frequenza tipica di questa zona. Il potenziale microfonico cocleare può essere utilizzato come indice a bassa frequenza dello stato dei processi di trasduzione meccanoelettrica nella coclea basale. La risposta continua è il
potenziale di sommazione (Fig. 15). Anche questo è prodotto dalle CCE. La sua ampiezza dipende da molti fattori: intensità e frequenza del suono stimolatore, livello di registrazione nella coclea. Le sue proprietà sono complesse.
Otoemissioni acustiche cocleari
David Kemp fu il primo a pubblicare l’osservazione di un’emissione acustica cocleare nel 1978. Le emissioni acustiche cocleari sono dei suoni emessi dall’orecchio e registrabili nel meato acustico esterno in maniera non traumatizzante. Esistono diversi tipi di emissioni: le otoemissioni spontanee registrabili nel meato acustico esterno al di fuori di ogni
stimolazione sonora, le otoemissioni provocate registrabili in risposta a uno stimolo sonoro breve (un clic) e i prodotti di distorsione acustica registrabili in risposta a una doppia stimolazione tonale continua di frequenze vicine. L’origine endococleare delle emissioni acustiche cocleari è stata documentata con varie argomentazioni:
• la loro non-linearità (saturazione dell’emissione a forte livello
di stimolazione);
• la loro selettività frequenziale;
• la loro riduzione di ampiezza e addirittura la loro scomparsa
in caso di lesione delle CCE;
• il loro lungo intervallo di comparsa (da 5 a 25 ms a seconda
della frequenza).
Queste emissioni acustiche cocleari sono testimoni della presenza dei fenomeni attivi endococleari.
Fisiologia dei centri uditivi

I messaggi uditivi sono veicolati sotto forma di potenziali d’azione dal contingente di fibre afferenti di tipo I del nervo cocleare, che unisce la coclea al nucleo cocleare nel tronco
cerebrale. L’informazione camminerà allora di relè in relè, fino alla corteccia uditiva. È particolarmente interessante il fatto che su diversi piani del sistema uditivo esistano delle decussazioni: queste consentono tra l’altro ai dati provenienti dalle due orecchie di essere raggruppati e confrontati, cosa che porta all’estrazione di elementi essenziali che saranno valutati nel dettaglio in una sede più lontana. Per capire ciò che i centri uditivi potranno estrarre come informazione e per anticipare il modo in cui una sordità neurosensoriale, il più
delle volte di origine cocleare, va a provocare disturbi di comprensione, è necessario determinare la natura del o dei codici veicolati.
Analisi frequenziale
I messaggi acustici sono stati smistati dalla coclea prima di tutto sulla base del loro contenuto in frequenze. Quando diversi picchi spettrali sono presenti nel suono da codificare, l’elevata
selettività del sistema membrana basilare e CCE si manifesta con la presenza di risonanze molto fini, ciascuna nel punto lungo della spirale cocleare la cui frequenza tipica coincide con
quella di un picco spettrale del suono. I neuroni connessi con le CCI di questo punto hanno quindi un attivismo intenso che i loro vicini non hanno. Un profilo di attività neurale può
essere ottenuto al prezzo di registrazioni ripetute di molti neuroni, che permettono di stabilire il loro tasso di potenziali d’azione per unità di tempo e di riportarli su un grafico di
sintesi in funzione della frequenza tipica di ogni neurone. Questo profilo riproduce fedelmente il profilo spettrale del suono incidente (nucleo cocleare, collicolo) (Fig. 16). Il principio della ricostituzione nelle vie nervose uditive di tali profili, anche se semplificati, è evidentemente alla base del funzionamento degli impianti cocleari a multielettrodi e del loro successo.
Il tasso per unità di tempo di potenziali d’azione veicolati in un neurone uditivo codifica per l’intensità della componente spettrale che fa rispondere il neurone. Questo principio
di codificazione genera parecchie difficoltà: la dinamica di un neurone, entro la sua soglia di risposta (la più piccola intensità che provoca un aumento significativo della sua attivitàrispetto al suo livello spontaneo) e il raggiungimento di una saturazione (dove il tasso di potenziali d’azione è il massimo compatibile con l’esistenza di un periodo refrattario assoluto incompressibile) è dell’ordine di 40 dB. Il comportamento compressivo della membrana basilare insieme alle CCE (crescita da 0,2 a 0,3 dB/dB di aumento del suono esterno) offre
una prima soluzione per aumentare la dinamica neuronale (quando le CCE diventano non funzionali, in caso di sordità cocleare, la compressione scompare e la dinamica neuronale si
riduce, dando origine al reclutamento di sonia, che è una distorsione nella sensazione di forza sonora che cresce troppo rapidamente una volta superata la soglia uditiva). La seconda
soluzione è fornita dalla coesistenza di neuroni di bassa e alta attività spontanea (rispettivamente di alta e bassa soglia). Quando i neuroni di bassa soglia sono saturi, i neuroni di alta soglia generati dalle stesse CCI acquisiscono il relè in quanto
la loro dinamica non è ancora saturata. Poiché il tasso di potenziali d’azione per secondo, considerato
globalmente, codifica per l’intensità sonora, ci si può interrogare sulle informazioni che la struttura fine dei potenziali d’azione può veicolare. Alle frequenze superiori a 3 kHz, questa non rappresenta in niente la struttura fine temporale dell’onda di pressione da codificare, poiché i periodi refrattari dei neuroni
sono troppo lunghi per permettere a un sincronismo (o phase locking) di verificarsi.
A frequenza più bassa, nel corso del periodo di un suono, la probabilità di presenza di un potenziale d’azione tende invece, quanto più la frequenza è bassa, a presentare un’oscillazione sinusoidale che riproduce quella del suono, con un massimo che corrisponde a una fase precisa dell’oscillazione. Questa capacità di sincronismo di fase si manifesta a livello della popolazione neuronale che risponde a un suono, piuttosto che a livello di un neurone individuale i cui potenziali di azione possono «essere privi di» uno o di diversi periodi del suono
incidente. Ciò ha due conseguenze sul piano delle informazioni codificate. La prima è che vi sia una possibilità di codificazione delle basse frequenze complementare a quella basata sul principio di tonotopia. Questa nuova possibilità, di natura temporale, consiste nel prendere in considerazione il periodo medio dei potenziali d’azione e spiega come vi siano diversi modi di
valutare (e di avvertire) l’altezza di un suono, a seconda della regione cocleare che risponde (tonotopia) e a seconda della periodicità che deriva da un’analisi globale dei potenziali
d’azione. Queste due modalità sono normalmente (in una coclea normale e in assenza di rumore) coerenti, pertanto è difficile dire quale indice, tonotopico o temporale, sia sfruttato
dai centri uditivi. In caso di patologia invece, gli indici temporali sono spesso più consistenti di quelli tonotopici, che sono molto degradati in caso di sordità con lesione delle CCE. In
presenza di rumore aleatorio sembra anche che gli indici temporali possano essere i soli conservati. Il caso degli impianti cocleari pone un problema particolare interessante
perché la sincronia è molto ben rispettata, mentre la tonotopia non è che approssimativa, se non slivellata, a seconda della posizione del porta-elettrodi. È stato recentemente dimostrato
che la percezione di altezza è molto alterata in caso di discordanza importante tra tonotopia e periodicità: ciò può spiegare le difficoltà tipiche dei soggetti con impianti cocleari per quanto riguarda la percezione dell’altezza e della musica. La seconda conseguenza del sincronismo di fase dei potenziali d’azione alle basse frequenze è che le sottili differenze di tempo tra le due orecchie, legate all’orientamento di una fonte sonora nel piano azimutale (il tempo impiegato dal suono per raggiungere l’orecchio distale rispetto all’orecchio prossimale dipende in maniera univoca dall’angolo della sorgente rispetto all’asse di simmetria nel piano orizzontale che passa per le due orecchie), possono essere sfruttate per la localizzazione sonora al di sotto
di 3 kHz. Alcuni importanti fenomeni percettivi derivati dalla struttura semplice dei pattern di potenziali d’azione veicolati dal nervo cocleare saranno esaminati nel paragrafo successivo. Il centro uditivo responsabile dell’elaborazione è a volte identificato chiaramente (è questo il caso dei centri coinvolti nella localizzazione), anche se il modo in cui la sua funzione viene messa in atto rimane ancora spesso oggetto di controversie o di interrogazioni. In altri casi sono senza dubbio implicati diversi piani del sistema uditivo. In cima alla scala si trovano i
meccanismi di comprensione (e di produzione) della parola, implicati nella comunicazione parlata, tanto essenziali per la specie umana. Il loro studio va molto al di là dei nostri
propositi.
Localizzazione
La capacità di localizzare un suono è essenziale sul piano percettivo (non solamente per la localizzazione di un predatore, di una preda o di un partner, ma anche per separare efficacemente le fonti di rumore e di segnali pertinenti). Quando una fonte sonora si trova in una direzione laterale che forma un angolo a con l’asse di simmetria, il suono giunge all’orecchio distale, da una parte ritardato di un tempo (dell’ordine di alcune centinaia di microsecondi al massimo) direttamente correlato a a, d’altra parte attenuato di x dB a causa dell’effetto d’ombra della testa (differenza interauricolare di intensità). A bassa frequenza l’effetto d’ombra della testa è molto debole o trascurabile a causa del fenomeno di diffrazione che devia senza attenuazione ogni suono la cui lunghezza d’onda è superiore al diametro della testa (caratteristicamente una lunghezza d’onda k= 20 cm corrisponde nell’aria a una frequenza limite dell’ordine di 1.500 Hz). È necessario dunque che la frequenza sia superiore a 1,5-2 kHz per far sì che lo scarto interauricolaredi intensità raggiunga o superi 1 dB, la più piccola differenza di rispetto al suo livello spontaneo) e il raggiungimento di una saturazione (dove il tasso di potenziali d’azione è il massimo compatibile con l’esistenza di un periodo refrattario assoluto incompressibile) è dell’ordine di 40 dB. Il comportamento compressivo della membrana basilare insieme alle CCE (crescita da 0,2 a 0,3 dB/dB di aumento del suono esterno) offre una prima soluzione per aumentare la dinamica neuronale (quando le CCE diventano non funzionali, in caso di sordità cocleare, la compressione scompare e la dinamica neuronale si riduce, dando origine al reclutamento di sonia, che è una distorsione nella sensazione di forza sonora che cresce troppo rapidamente una volta superata la soglia uditiva). La seconda soluzione è fornita dalla coesistenza di neuroni di bassa e alta attività spontanea (rispettivamente di alta e bassa soglia). Quando i neuroni di bassa soglia sono saturi, i neuroni di alta soglia generati dalle stesse CCI acquisiscono il relè in quanto
la loro dinamica non è ancora saturata. Poiché il tasso di potenziali d’azione per secondo, considerato globalmente, codifica per l’intensità sonora, ci si può interrogare sulle informazioni che la struttura fine dei potenziali d’azione può veicolare. Alle frequenze superiori a 3 kHz, questa non rappresenta in niente la struttura fine temporale dell’onda di pressione da codificare, poiché i periodi refrattari dei neuroni sono troppo lunghi per permettere a un sincronismo (o phase locking) di verificarsi. A frequenza più bassa, nel corso del periodo di un suono, la probabilità di presenza di un potenziale d’azione tende invece, quanto più la frequenza è bassa, a presentare un’oscillazione sinusoidale che riproduce quella del suono, con un massimo che corrisponde a una fase precisa dell’oscillazione. Questa capacità di sincronismo di fase si manifesta a livello della popolazione neuronale che risponde a un suono, piuttosto che a livello di un neurone individuale i cui potenziali di azione possono «essere privi di» uno o di diversi periodi del suono incidente. Ciò ha due conseguenze sul piano delle informazioni codificate. La prima è che vi sia una possibilità di codificazione delle basse frequenze complementare a quella basata sul principio di tonotopia. Questa nuova possibilità, di natura temporale, consiste nel prendere in considerazione il periodo medio dei potenziali d’azione e spiega come vi siano diversi modi di valutare (e di avvertire) l’altezza di un suono, a seconda della regione cocleare che risponde (tonotopia) e a seconda della periodicità che deriva da un’analisi globale dei potenziali d’azione. Queste due modalità sono normalmente (in una coclea normale e in assenza di rumore) coerenti, pertanto è difficile dire quale indice, tonotopico o temporale, sia sfruttato dai centri uditivi. In caso di patologia invece, gli indici temporali sono spesso più consistenti di quelli tonotopici, che sono molto degradati in caso di sordità con lesione delle CCE. In presenza di rumore aleatorio sembra anche che gli indici
temporali possano essere i soli conservati. Il caso degli impianti cocleari pone un problema particolare interessante perché la sincronia è molto ben rispettata, mentre la tonotopia
non è che approssimativa, se non slivellata, a seconda della posizione del porta-elettrodi. È stato recentemente dimostrato che la percezione di altezza è molto alterata in caso di
discordanza importante tra tonotopia e periodicità: ciò può spiegare le difficoltà tipiche dei soggetti con impianti cocleari per quanto riguarda la percezione dell’altezza e della musica.
La seconda conseguenza del sincronismo di fase dei potenziali d’azione alle basse frequenze è che le sottili differenze di tempo tra le due orecchie, legate all’orientamento di una fonte sonora nel piano azimutale (il tempo impiegato dal suono per raggiungere l’orecchio distale rispetto all’orecchio prossimale dipende in maniera univoca dall’angolo della sorgente rispetto all’asse di simmetria nel piano orizzontale che passa per le due orecchie), possono essere sfruttate per la localizzazione sonora al di sotto di 3 kHz.
Alcuni importanti fenomeni percettivi derivati dalla struttura semplice dei pattern di potenziali d’azione veicolati dal nervo cocleare saranno esaminati nel paragrafo successivo. Il centro
uditivo responsabile dell’elaborazione è a volte identificato chiaramente (è questo il caso dei centri coinvolti nella localizzazione), anche se il modo in cui la sua funzione viene messa
in atto rimane ancora spesso oggetto di controversie o di interrogazioni. In altri casi sono senza dubbio implicati diversi piani del sistema uditivo. In cima alla scala si trovano i
meccanismi di comprensione (e di produzione) della parola, implicati nella comunicazione parlata, tanto essenziali per la specie umana. Il loro studio va molto al di là dei nostri
propositi.
Sonia
La sonia è la sensazione di forza sonora e, con l’altezza e il timbro, essa rappresenta uno dei tre attributi fondamentali di un suono. È la distorsione della sonia, o reclutamento di
sonia, che rende la strumentazione delle ipoacusie cocleari così delicata. È ampiamente accettato che la sonia sia codificata dal numero totale di potenziali d’azione veicolati dal
nervo cocleare. La soglia differenziale di sonia è facile da valutare, poiché il compito sottoposto ai soggetti testati è comparativo: è il più piccolo aumento di intensità calcolabile,
di circa 1 dB. Secondo la celebre legge di Weber questa soglia differenziale è approssimativamente costante e indipendente dal livello scelto come riferimento. Abbiamo visto la sua importanza nella localizzazione grazie allo scarto interauricolare di intensità. La crescita della sonia è molto più difficile da riconoscere perché è puramente soggettiva. In caso di sordità cocleare tipica con CCE interessate, poiché la compressione osservata a livello
della membrana basilare è scomparsa insieme al guadagno fornito dalle CCE, si accetta di buon grado la logica del disturbo di un soggetto che riferisce un reclutamento, ma, nel caso di
un’iperacusia «di base», è la sola parola del paziente a essere depositata agli atti. Normalmente e in media, si ritiene (legge di Stevens) che la sonia raddoppi ogni volta che il livello sonoro aumenta di 10 dB, o ancora (Fechner) che la sua crescita sia «logaritmica». Le due leggi, di Stevens e Fechner, benché abbiano basi abbastanza diverse, forniscono in realtà delle previsioni numeriche molto vicine. Se non si sa esattamente come né dove la sonia venga valutata, si sospetta invece degli elementi che permettono questa valutazione: si deve tenere conto non solo dell’attività dei neuroni uditivi connessi alle CCI della regione in risonanza, aggiungendo anche il contributo dei neuroni a bassa e ad alta soglia, ma anche dell’attività dei neuroni che spiegano la distribuzione delle eccitazioni lungo la membrana basilare e, in particolare, verso la base della coclea agli alti livelli. Le discordanze tra le previsioni dei modelli neuronali basati su quanto detto prima e alcune osservazioni psicofisiche indicano tuttavia che tutto non è stato ancora chiarito correttamente. 
Bande critiche e mascheramento
Quando due suoni di frequenze diverse, per esempio un segnale e un rumore, raggiungono la coclea nello stesso tempo, può essere esercitato un mascheramento da parte di una
componente frequenziale sull’altra. Uno dei meccanismi implicati è quello detto «della linea occupata» (Fletcher), attraverso il quale i neuroni implicati nella codificazione del
segnale, ma connessi a una zona della coclea capace anche di rispondere al rumore, si trovano per questa ragione a rispondere al rumore al momento della comparsa del segnale. I potenziali d’azione dovuti al segnale si trovano mescolati a quelli dovuti al rumore, o peggio ancora, il neurone già saturo per via del rumore o posto dal rumore in periodo refrattario non è disponibile per rispondere al segnale. Abbiamo visto precedentemente che il sistema efferente mediano era coinvolto nei meccanismi di eliminazione dei rumori. Abbiamo anche sospettato il ruolo della localizzazione delle sorgenti uditive nel far sì che i centri ritrovino la parte del rumore e quella del segnale attraverso le loro localizzazioni spaziali differenti (smascheramento biauricolare, effettuato nel tronco cerebrale – a partire da informazioni che senza dubbio originano nel complesso olivare superiore). Un ruolo importante nella distinzione tra rumori e segnali viene svolto grazie anche al fenomeno delle bande critiche. Supponiamo un suono test a 1 kHz, mescolato a un rumore a larga banda spettrale. Si osserva che, fintanto che il rumore non contenga energia debordante in una banda centrata su 1 kHz e di larghezza normale di 160 Hz (cioè [920, 1080 Hz]), esso non influisce sulla percezione della sonia del suono test e dunque non lo maschera. Questa nozione si generalizza e definisce
così la nozione di banda critica, essendo la larghezza di ogni banda critica proporzionale alla sua frequenza centrale (160 Hz intorno a 1 kHz, 320 e poi 640 Hz intorno a 2 e poi 4 Hz
rispettivamente ecc.). Si ritrova la correlazione nelle curve di accordo dei neuroni nel nucleo centrale del collicolo inferiore (mesencefalo uditivo): questi neuroni hanno una curva di
accordo a forma di banda critica e le loro risposte rimangono imperturbabili a ogni rumore esterno. È evidente che, se le risonanze cocleari sono allargate in seguito a patologia delle
CCE, le bande critiche si trovano funzionalmente «allargate» poiché l’eccitazione dovuta a un rumore deborda troppo sulla membrana basilare e va a interessare dei neuroni normalmente
non rispondenti al rumore considerato: alcune bande critiche cominciano a ricevere dei messaggi che normalmente non le riguardano.
Alcuni aspetti della terapia spettrale dei suoni complessi Gli elementi precedenti riguardano alcuni aspetti molto basilari del trattamento dei segnali acustici. Si sa che lo spettrogramma di un suono complesso (per esempio un suono di parola) si ritrova in molti dei suoi dettagli a livello dei centri uditivi localizzati sempre più in alto, ma non si sa ancora a quale(i) livello(i) inizi(no) realmente l’analisi in vista dell’identificazione dei messaggi veicolati (forse principalmente a livello della corteccia uditiva – modello bottom-up benché, per alcuni,
la presenza di vie efferenti disposte dalla corteccia alla coclea propenda per un modello dove le interazioni top-down sono importanti).
In ogni caso si sa che l’immagine di questo spettrogramma, già ben visibile a livello del nervo cocleare, si può affinare gradualmente nel nucleo cocleare (nucleo dove esistono molteplici
circuiti basati su molteplici tipi neuronali, gli uni sensibili agli attacchi gli altri ad altri aspetti temporali o spettrali dei suoni) e poi nel collicolo inferiore. [56] Alcuni indici
importanti per l’identificazione delle sillabe vedono il loro contrasto rinforzato, anche (e soprattutto) in presenza di suoni competitori o di rumore. Quando ci si interessa alle protesi
uditive di tipo impianto cocleare o del tronco cerebrale, è assolutamente essenziale che i loro algoritmi di trattamento si rifacciano a quello realizzato dal sistema uditivo normale, al
fine di fornire al soggetto portatore di apparecchio degli indici pertinenti che i suoi circuiti neuronali possano utilizzare il più naturalmente ed efficacemente possibile. È tutto l’interesse della migliore conoscenza della fisiologia dell’udito nella sua forma integrata.

FISIOLOGIA Introduzione

 

FISIOLOGIA DELL'APPARATO UDITIVO

 

Per comprendere meglio la fisiologia del l'apparato uditivo questo può essere suddiviso in una serie di parti (o blocchi) in modo che a ciascuna parte corrisponda una funzione. Lo schema a blocchi" (il termine é preso a prestito dalla cibernetica) dell'apparato uditivo é il seguente:

Organo                                     Funzione

1) Orecchio esterno                  Attenuatore selettivo

2) Orecchio medio                    Adattatore di impedenza

3) Orecchio interno                  Traduttore meccano-elettrico

4) Nervo VII                             Convertitore analogico-digitale

5) Centri                                  Decodificatore

Spiegazione di taluni termini. 
1) ATTENUATORE SELETTIVO: dispositivo in grado in grado di variare la intensità limitatamente ad alcune bande di frequenza. 
2) ADATTATORE DI IMPEDENZA: dispositivo che serve per compensare la differenza di  impedenza tra due mezzi. 
3) TRASDUTTORE dispositivo in grado di tradurre, ossia di trasformare un tipo di energia in un altro tipo. Ad esempio, il telefono é un trasduttore meccano-elettrico, come la coclea. 
4) CONVERTITORE ANALOGICO-DIGITALE: dispositivo che é in grado di convertire un segnale analogico, ad es. una forma d'onda (es. una sinusoide), in una serie di numeri ("DIGITS" significa cifre)

FISIOLOGIA DELL ORECCHIO MEDIO

A) Definizione: L'ORECCHIO MEDIO E' UN ADATTATORE DI IMPEDENZA.

Immaginiamo un uomo che grida su di una barca e un ascoltatore sott'acqua. Perché l'ascoltatore non sente il grido?
Perché l'energia sonora deve passare da un mezzo (l’aria) a un altro (l'acqua) In queste condizioni sappiamo che una parte dell'energia viene riflessa e una parte rifratta. Quanto più simile l'impedenza acustica dei due mezzi, tanto maggiore é la rifrattazione; quanto più differente, tanto maggiore la riflessione Nel caso di passaggio aria-acqua, la seconda ha un'impedenza molto più grande della prima, per cui circa il 99,9% dell'energia viene riflesso,dalla superficie. dell'acqua e solo lo 0,1% viene rifratto.
Le vibrazioni sonore che percorrono l'aria, ossia un mezzo a bassa impedenza acustica, devono essere trasmesse ai liquidi labirintici, la cui impedenza é molto maggiore. Se per ipotesi il suono giungesse direttamente alla finestra ovale senza che l'orecchio medio fungesse da intermediario, una grandissima parte dell'energia sonora verrebbe riflessa proprio a causa della sfavorevole differenza di impedenza tra i due mezzi. Soltanto poca energia finirebbe per giungere alla coclea, con la conseguenza di un udito assai poco efficiente.
Il compito svolto dall'orecchio medio é esattamente quello di fare da mediatore tra la bassa impedenza dell'aria e quella elevata dei liquidi, in modo tale che la perdita di energia per riflessione sia contenuta al minimo. Ecco Perché abbiamo definito l'orecchio medio un "adattatore di impedenza".
I meccanismi attraverso cui l'orecchio medio svolge una funzione sono essenzialmente tre:

1) il rapporto di area tra la superficie timpanica e quella della platina; 
2) il rapporto di leva esercitato dalla catena ossiculare; 
3) il rapporto di curvatura della membrana timpanica.

Il rapporto di area é dei tre il più importante in senso quantitativo, cioé quello che maggiormente contribuisce all'adattamento di impedenza. Concentrando infatti su una superficie più piccola, quella della platina, la forza che agisce su di una superficie più grande (quella del timpano) si ottiene l'effetto di "vincere" in parte, l'elevata impedenza dei liquidi labirintici.
Una semplice analogia che chiarisce questo concetto é derivabile dall'uso comune. Se picchiamo con un martello contro un muro spesso la forza F che usiamo si disperde tutta in calore e non compiamo nessun lavoro L, dal momento che non si é prodotto alcun spostamento s (L x Fs). Ma se prendiamo un chiodo e vi picchiamo sopra con la stessa forza il chiodo penetrerà con facilità tanto maggiore, quanto più piccola la sua sezione, ed avremo prodotto un lavoro, Perché l'applicazione della forza ha determinato uno spostamento.
Il rapporto di superficie tra membrana timpanica e platina é in media, nell'uomo, di 36,5.
Il rapporto di leva é dovuto alla conformazione della catena degli ossicini che agisce come una leva di secondo tipo. L'equazione della leva dice che il rapporto tra la forza applicata a un'estremo e quella dell'estremo opposto é inverso a quello dei rispettivi bracci (b); 
Fi : F2 = b2 : b,
Nell'orecchio medio i due bracci della leva sono rappresentati rispetti-vamente dal martello (b1 ) e dall`incudine+staffa (b2 ) IL fulcro é a livello dell'articolazione martello-incudine.(b2) é leggermente più lungo di b1 : in effetti, il rapporto b 2 : b1, detto rapporto di leva, é di 1,2
Finalmente il rapporto di curvatura é dovuto alla particolare struttura ed orientamento delle fibre che compongono lo strato intermediario della membra timpanica. Sotto l'azione di una forza, si stabilisce un particolare gioco di tensioni e di incurvamenti che fa sì che il rapporto tra una forza applicata alla membrana e quella che possiamo rilevare a livello del martello sia pari a 2,0
Possiamo a questo punto calcolare l'effetto di trasformazione esercitato dall'orecchio medio. Chiamiamo Fi la forza che agisce all'ingresso (input) del sistema, cioè sul timpano, e F la forza che possiamo rilevare all'uscita (output), cioè a livello della platina della staffa. Si ha: F /F = rapporto di area (35,5) x rapporto di leva (1,2) x rapporto di curvatura (2,O) = 87,6. Questo é in base al calcoli più recenti, il rapporto output/input dell'orecchio medio, detto anche rapporto di trasformazione che serve per "vincere" l'elevata impedenza dell'orecchio interno. Tale rapporto viene comunemente espresso in dB.

B) LA VENTILAZIONE DELL'ORECCHIO MEDIO

1 Principali fattori che regolano la pressione nell'orecchio medio sono:

1)la ventilazione tubarica 
2) la diffusione dei gas dalle cavità ai tessuti.

La cavità dell'orecchio medio, detta anche più comunemente "cassa del timpano" o semplicemente "cassa" é per la grandissima parte del tempo, una cavità chiusa. La tuba di Eustachio si apre infatti saltuariamente , di solito in coincidenza con atti di deglutizione, e rimane aperta per circa 1/3 di secondo.
Però non tutti gli atti di deglutizione, comportano necessariamente la apertura della tuba. Perché si abbia un passaggio d'aria dalla faringe alla cassa del timpano é indispensabile che quest'ultima eserciti un meccanismo di aspirazione. Il che può accadere solo se tra faringe e cassa esiste una differenza di pressione, nel senso che la cavità timpanica deve avere una pressione Più bassa di quella che c'é in faringe. E' stato calcolato che tale differenza di pressione, al momento della deglutizione, si aggira nel soggetto normale sui 30 mm Hg.
Subito dopo che la tuba si é aperta, la pressione nell'orecchio medio é identica a quella della faringe e cioè dell'esterno: in un soggetto che si trova a livello del mare sarà ovviamente di 740 mmHg.
Subito prima dell'apertura successiva la pressione nella cassa si é ridotta, come si é detto, di 30 mm Hg. Come mai si sono persi questi 30 mm?Perché nel periodo in cui la tuba resta chiusa si ha un passaggio di gas dalla cavità ai tessuti. E' legge ben nota della fisica i gas tendono a diffondere dal mezzo ove si trovano a concentrazione (e quindi a pressione)più elevata a quello a minore concentrazione . Nei tessuti la somma delle pressioni parziali dei tre Principali gas dell'aria (N N2,O2,CO) si aggira sui 700 mmHg. Non appena la tuba si é aperta esiste nella cavità dell'orecchio medio, lo ripetiamo, una pressione identica a quella atmosferica mentre le pareti della cavità sono a pressione 700. Inizia quindi un passaggio di gas dalla cavità al tessuti circostanti che ridice gradatamente la pressione nella cavità stessa. Quando tale riduzione é arrivata attorno a 30 mmHg scatta la segnalazione da parte dei pressocettori della cassa e interviene il meccanismo riflesso che fa aprire la tuba.
Se - per cause patologiche - la tuba non si é aperta, il passaggio di gas dall'aria al tessuti continua finché tra i due sistemi non si é stabilito l'equilibrio.

 

FISIOLOGIA DELL'ORECCHIO INTERNO

A)COCLEA
Definizione: la coclea è un trasduttore meccano-(bio)elettrico.
In altre parole la coclea é in grado di trasformare l'energia sonora meccanica., che riceve tramite     le vibrazioni della platina della staffa, in energia bioelettrica, quella cioé che é in grado di stimolare   le fibre del nervo VIII.

B)GIOCO DELLE DUE FINESTRE
In maniera molto semplificata, la coclea può essere considerata come un canale a pareti rigide (ossee), arrotolato su se stesso. Il canale é sepimentato in due parti dalla membrana basilare o partizione cocleare: sopra questa é appoggiato l'organo del Corti. La parte superiore, o scala vestibolare, comunica con l'orecchio medio attraverso la finestra ovale o vestibolare, in cui é inserita la staffa, l'inferiore, o scala timpanica, comunica con la cassa attraverso la finestra rotonda o timpanica, chiusa dalla membrana di Scarpa.
Analizziamo che cosa succede quando la platina della staffa, messa in movimento da un suono, si affonda come un pistone nell'orecchio interno. Essa comprime la perilinfa. Questa é incomprimibile come tutti i liquidi, e quindi trasmette l'aumento di pressione lungo la scala vestibolare. Qui vi é un'unica parete elastica e perciò deformabile, la membrana basilare, la quale di conseguenza si incurva verso il basso. Ciò provoca a sua volta un aumento di pressione nella scala timpanica e , in ultima analisi, una estroflessione della membrana della finestra rotonda. Analogamente, a uno spostamento in fuori della staffa consegue una introflessione della membrana di scarpa. Il gioco delle due finestre é dunque essenziale per assicurare dei corretti movimenti dei fluidi entro l'orecchio interno.

C) LE ONDE VIAGGIANTI
In risposta ad un suono di durata non istantanea l'andamento degli incurvamenti o vibrazioni della membrana basilare é molto complesso, poiché dipende da numerose variabili fisiche. Tali vibrazioni sono dette "onde  viaggianti"; nel punto o nel punti ove queste onde raggiungono una sufficiente ampiezza si ha la stimolazione delle cellule acustiche.
E' evidente che le onde impiegano un certo tempo , anche se breve, a viaggiare attraverso tutta la coclea: pertanto, quando la zona di massima deflessione é vicina all'apice, cioé lontana dalla finestra, la stimolazione dello organo del Corti avverrà dopo un intervallo di tempo (latenza) maggiore che non quando la massima deflessione é vicino alla finestra.

D) I MOVIMENTI A CESOIA
Ricordiamo che l'organo di Corti é una struttura assai rigida. La sua superficie superiore , detta lamina reticolare., é attraversata dalle ciglia delle cellule acustiche interne ed esterne. Le ciglia sono le uniche strutture pieghevoli dell'organo di Corti e prendono contatto con la membrana tectoria.
Le ciglia si piegano quando la membrana basilare si sposta verso l’alto; quando lo spostamento è verso il basso , le ciglia si piegano in direzione opposta. Questi movimenti obliqui delle ciglia ricordano quelli delle lame di una forbice e sono detti movimenti  a cesoia. Essi producono all’interno delle cellule acustiche, sono da considerarsi come veri e propri meccanocettori, complessi e ancora in gran parte ignorati fenomeni chimici che generano l’impulso nervoso.

E) TONOTOPICITA' DELLA CHIOCCIOLA
La membrana basilare, su cui poggia l'organo del Corti, é più larga vicino all'apice della chiocciola e più stretta in prossimità delle finestre. L'ampiezza é strettamente correlata con la rigidità: la membrana basilare infatti é molto più cedevole all'apice che alla base, ove le fibre che la compongono sono più corte. In analogia con quanto si verifica negli strumenti a corda, la frequenza di risonanza (cfr. "Fisica") diminuisce dalla base all'apice. Quindi se si stimola cui un tono puro di frequenza grave, la massima deflessione si sposta verso la base.
In altre parole, la coclea ha una distribuzione tonotopica. Nell'uomo, la frequenza di 20 KHz la più alta udibile, é proprio all'altezza delle finestre; a metà strada tra base e apice c'é la frequenza di 2000Hz quella di 60 Hz é in tutta prossimità dell'elicotrema.

ATTENZIONE: non é vero che una determinata zona della coclea sia sensibile solo ed esclusivamente a una determinata frequenza, che é la frequenza di risonanza. Ciò accade unicamente quando lo stimolo é di debolissima intensità. A mano a mano che si aumenta l'intensità (mantenendo costante la frequenza) la zona di cellule che rispondono si amplia sempre di più.

RIASSUNTO.
Il movimento a pistone della staffa nella finestra ovale creano, grazie alla presenza nell'orecchio interno di una controapertura, rappresentata dalla finestra rotonda (gioco delle due finestre) delle oscillazioni della membrana basilare. Quando gli incurvamenti della membrana basilare raggiungono una determinata entità, si provocano delle deflessioni delle ciglia delle cellule acustiche (movimenti a cesoia) le quali danno origine a fenomeni elettrochimici endocellulari, tramite cui vengono stimolate le sinapsi alla base delle cellule.La coclea esegue un'analisi meccanica delle frequenze: ossia, date le caratteristiche di vibrazioni della membrana basilare, caratteristiche che dipendono da fattori meccanici, ciascun gruppo di cellule acustiche é maggiormente sensibile a una determinata frequenza (tonotopicità della coclea).

F) I POTENZIALI COCLEARI

Introducendo degli elettrodi in vicinanza o entro la coclea, si possono registrare diversi potenziali elettrici, di cui due hanno importanza particolare:
1) Il potenziale microfonico cocleare (CM, dalle iniziali inglesi Cochlear Microphonic). Si rileva soltanto quando l'orecchio é stimolato da un suono, ed ha la forma che riproduce con buona fedeltà quella dello stimolo. (Per fare un esempio, lo stesso avviene quando colleghiamo un microfono con un oscilloscopio e riproduciamo così sullo schermo le vibrazioni sonore). Le ricerche sperimentali hanno dimostrato che il CM é prodotto essenzialmente dalle cellule acustiche esterne. Esso é la rappresentazione elettrica dei movimenti di queste cellule, prodotti dalle onde viaggianti.
2) Il potenziale d'azione (AP, dalle iniziali inglesi Action Potenzial).
Alla base delle cellule acustiche é situata la sinapsi con le fibre del nervo VIII. A seguito della stimolazione meccanica si liberano allo interno del meccanorecettore dei trasmettitori chimici (acetilcolina, ecc.) che scatenano l'impulso nervoso a partire dalla sinapsi. Sono questi gli impulsi che noi registriamo come potenziale d'azione". L'impulso si propaga lungo la fibra allo stesso modo con cui si propaga l'incendio lungo una miccia. L'impulso che per-corre la fibra non ha alcun rapporto con l'intensità dello stimolo sensoriale. Esso é sempre identico, sia per stimoli deboli che per stimoli molto intensi, e obbedisce pertanto alla legge del tutto o nulla".
Ciascuna fibra del nervo VIII veicola quindi solo due informazioni: a) l'impulso é presente, b) l'impulso é assente. Nello stesso modo lavora un calcolatore con il sistema binario basato sulle due cifre 0 e l. Per questo si dice che il nervo VIII funziona come un convertitore analogico-digitale: esso infatti trasforma un segnale formato da una successione di onde (segnale che é analogo allo stimolo acustico) in una successione di cifre (digits) binarie,1 (presenza di stimolo) e 0 (assenza di stimolo).
Abbiamo detto che la singola fibra obbedisce alla legge del "tutto o rulla". Pertanto, le informazioni circa l'intensità dello stimolo sono date, tra l'altro, dal numero delle fibre eccitate. Quando il suono stimolante é di forte intensità, esso provoca una deflessione della membrana basilare maggiore di quanto non avvenga con un suono identico più debole. Il numero di cellule acustiche stimolate risulterà quindi più grande e di conseguenza gli impulsi saranno veicolati da un numero più elevato di fibre.
Ultima considerazione riguardante i potenziali. Quando si prelevano mediante elettrodi i potenziali della coclea, si ottengono ovviamente dei segnali che sono un miscuglio di CM e di PA. Per poter esaminare separatamente i due potenziali é necessario ricorrere a degli artifici: di questi, il più frequentemente adottato richiede l'impiego di un calcolatore.

Liquidi dell'orecchio interno


La coclea contiene 3 condotti a spirale riempiti di liquidi: perilymph nei condotti tympanic e vestibolari, endolymph nel condotto cocleare. Questi liquidi sono essenziali al funzionamento delle cellule sensoriali dell'orecchio interno. Per esempio, una produzione anormale del endolymph causa la malattia del Menière con conseguente sia disfunzione vestibolare che cocleare.

Perilymph e endolymph

..

Il endolymph (blu) e il perilymph (rosso) differiscono da nel lorosoddisfare ionico.
La composizione nel endolymph, con un alto potassio e una concentrazione bassa nel sodio, assomiglia al cytosol. In opposizione, la composizione nel perilymph è più vicino al mezzo extracellulare, con un potassio basso ma un soddisfare elevato del sodio. I risultati ionici differenti della composizione in una differenza di sistemi MV approssimativamente 80 nel potenziale fra il endolymph e il perilymph.


Composizione ionica (millimetri)

 

Perilymph

Endolymph

Na+
K+
Cl

154
3
128

1
161
131


Potenziale di Endolymphatic

Il potenziale endolymphatic (sistemi MV intorno 80) dipende da unasecrezione attiva di K+, che coinvolge i fibroblasti, le cellule differenti di sostegno e i vascularis dello stria. La pendenza elettrochimica di K+ rappresenta la depolarizzazione della cellula ciliata (eccitazione).Un K+ attivo che ricicla il meccanismo (dopo che questo processo di transduction) coinvolge le cellule di sostegno che circondano le cellule ciliate e così l'alta concentrazione di K+ nel endolymph è effettuato.

Propagazione delle onde sonore nella coclea:
risonanza e/o onde mobili?

La catena ossicular accerta la trasmissione di pressione acustica dall'aria ai liquidi cocleari (veda la animazione). Per più di un secolo, i meccanismi fisici che spiegano la propagazione del segnale e del modello tonotopic della coclea sono stati spiegati da due teorie principali, vale a dire: risonanza o onde mobili.



Risonanza

In 1863, Helmholtz (rif. b1) ha descritto la coclea come essendo formando degli elementi di base, ogni che risuona ad una frequenza differente, come le serie di arpa.

Onde mobili


Verso la fine dei 1930s, Békésy (rif. b2) sviluppato la teoria mobile dell'onda, di cui è stato ricompensato il premio Nobel in 1961.

..

Secondo le indicazioni di questa illustrazione schematica, come la frequenza varia dall'alto in basso, il luogo di spostamento massimo degli spostamenti della membrana basilare verso l'apex. Ciò corrisponde ad un passivo tonotopy.


Concetto corrente

A causa della scoperta del meccanismo attivo esterno della cellula ciliata (OHC) che spiega le proprietà squisite della sensibilità e di sintonizzazione della coclea, l'onda mobile contro la teoria di risonanza non è affatto più lungamente un dibattito caldo. La maggior parte di acousticians e dei fisiologi ora ritengono che il modello fisico di inumidire la risonanza, basato sulle proprietà del OHC, sia vicino alla realtà; l'onda mobile ora tende ad essere considerata un epiphenomenon.

 

- ANATOMIA DELL'ORECCHIO INTERNO

L'orecchio interno è sede di due importanti stazioni sensoriali: l'organo dell'udito (la coclea) e l'organo dell'equilibrio (l'apparato vestibolare).
Questi due organi, pur svolgendo funzioni sensoriali così diverse tra loro, sono accumunati dal fatto di utilizzare lo stesso "sensore" vale a dire la cellula ciliata . Si tratta di un recettore sensoriale (meccanocettore) capace di segnalare non solo l'intensità e la durata di uno stimolo ma anche, cosa unica, la direzione con cui viene applicato. Questi recettori infatti sono dotati di attività spontanea che viene aumentata se la flessione delle ciglia avviene in una direzione e diminuita quando la flessione avviene in direzione opposta; questo semplice artificio permette alla cellula di "capire" la direzione dello stimolo che l'ha colpita.
Descriviamo ora brevemente le principali caratteristiche di questi "sensori". Si tratta di cellule polarizzate funzionalmente, cioè che mostrano chiare differenze morfologiche e strutturali tra il loro polo apicale ciliato e quello baso-laterale. La superficie apicale, provvista di ciglia costituisce la porzione meccano-sensibile; la porzione baso-laterale, invece, è in grado di attivare, mediante la liberazione di un neurotrasmettitore (il glutammato) le terminazioni delle fibre nervose afferenti che contattano il polo basale della cellula ciliata stessa. Le fibre nervose convertono poi il messaggio chimico delle cellule ciliate in una scarica di potenziali d'azione che viene inviata al Sistema Nervoso Centrale (SNC). 
A livello delle macule, le ciglia delle cellule ciliate sono immerse in una sottile lamina gelatinosa detta membrana otolitica. Appoggiati su tale membrana vi sono gli otoliti, e cioè piccoli sassolini di carbonato di calcio. A causa di questi sassolini, la densità, e quindi il peso, della membrana otolitica è maggiore di quello dell'endolinfa circostante. Ciò crea un sistema inerziale in grado di monitorare sia il vettore gravità che le accelerazioni lineari del capo. Entrambi questi stimoli infatti provocano uno spostamento della massa otoconiale, e quindi della membrana otolitica, che, flettendo le ciglia in essa immerse, determina la stimolazione delle cellule sensoriali. Poiché anche questi recettori sono dotati di attività spontanea che viene modulata, aumentata o diminuita, dalla flessione delle ciglia, anche gli organi otolitici sono in grado di "capire" la direzione secondo cui viene applicato lo stimolo meccanico (in altre parole di capire se si tratta di una accelerazione o di una decelerazione).
Il complesso organi otolitici-canali semicircolari formano quindi un sistema in grado di percepire qualsiasi accelerazione (lineare, angolare, torsionale, ecc.) a cui viene sottoposto il capo. Queste informazioni vengono poi utilizate dal SNC per innescare una serie di riflessi intesi da un lato a stabilizzare l'immagine sulla retina (il riflesso vestibulo-oculomotore) e dall'altro, mediante riflessi stato-tonici e stato-cinetici, a garantire l'equilibrio sia in condizioni statiche che dinamiche.
E' interessante notare che se, per qualche ragione, avvengono rapide ed improvvise variazioni dell'attività spontanea di uno qualunque dei canali semicircolari o degli organi otolitici, la sensazione che noi avvertiremo sarà quella di subire una rotazione nel piano del canale interessato o, nel caso di un organo otolitico, una sensazione di instabilità.
Variazioni dell'attività spontanea degli organi labirintici provocano pertanto turbe più o meno complesse dell'equilibrio che possono andare da modeste sensazioni di instabilità fino a violentissimi attacchi di vertigine.

 

LA FUNZIONE VESTIBOLARE O DELL'EQUILIBRIO

Gli organi sensoriali del sistema vestibolare sono rappresentati dall'utricolo, dal sacculo e dai tre canali semicircolari e sono specificamente deputati a percepire il vettore gravità, la posizione del capo rispetto ad esso e le accelerazioni lineari ed angolari che il capo subisce. Tali informazioni sono fondamentali per sviluppare un controllo posturale in grado non solo di mantenere la corretta stazione eretta ma anche di garantire la stabilizzazione dell'immagine sulla retina e l'equilibrio sia in condizioni statiche che dinamiche.
Il labirinto membranoso é fissato, mediante fibre connettivali, alle pareti del labirinto osseo. Lo spazio tra labirinto osseo e labirinto membranoso è ripieno di una soluzione salina, la perilinfa, la cui composizione é simile a quella dei liquidi extracellulari (ricca in Na+, povera in K+ e relativamente ricca in Ca++ ).
All'interno del labirinto membranoso, invece, é presente l'endolinfa la cui composizione è simile a quella dei liquidi intracellulari (alta concentrazione di K+, bassa di Na+ e molto bassa di Ca++). 
Come mostra la Fig.1, i canali semicircolari sono disposti su tre piani approssimativamente perpendicolari tra loro: il canale anteriore é posto sul piano frontale, quello posteriore nel piano anteroposteriore o sagittale ed il canale orizzontale sul piano orizzontale o trasversale.
All'interno dell'ampolla si trova una struttura, la cresta ampollare, su cui sono disposte le cellule sensoriali le cui ciglia sono parzialmente inglobate in una massa gelatinosa ovoidale, la cupola, che si estende fino al tetto dell'ampolla occludendola.
Quando il capo è soggetto ad una accelerazione rotazionale, l'endolinfa all'interno del canale tende, per inerzia, a rimanere immobile e quindi ad esercitare pressione sulla cupola che invece è trascinata, assieme al canale, solidalmente col capo. Ciò provoca la flessione della cupola e quindi delle ciglia delle cellule sensoriali in essa contenute. Il sistema dei canali semicircolari quindi si comporta come un vero e proprio accelerometro. Infatti quando il capo è fermo o la velocità di rotazione rimane costante l'accelerazione angolare è nulla ed il sistema non viene sollecitato (affinchè vi sia accelerazione vi deve essere variazione di velocità); quando invece si verificano variazioni di velocità (accelerazioni o decelerazioni) la cupula viene flessa nell'una o nell'altra direzione ed il sistema rileva prontamente tale moto. 
La sensibilità dei canali semicircolari nel percepire le accelerazioni angolari è inoltre fortemente aumentata dalla disposizione dei canali stessi nella teca cranica. Si deve infatti tener presente che i labirinti (lo stesso discorso infatti può essere fatto anche per gli organi otolitici) sono formazioni bilaterali e che gli organi sensoriali corrispondenti, del labirinto destro e sinistro, costituiscono coppie speculari disposte in modo tale che quando l'organo di un lato è stimolato quello del lato opposto è inibito e viceversa. La valutazione delle differenze tra i segnali proveniente dai due labirinti, operata dai centri nervosi, consente quindi un grande innalzamento della sensibilità; il sistema vestibolare infatti può percepire accelerazioni estremamente tenui, anche inferiori a 1°/sec2. 
Le accelerazioni lineari invece sono percepite dagli organi otolitici, organi in cui le cellule sensoriali sono raggruppate in zone specifiche, dette macule. 
La disposizione spaziale degli organi otolitici fa sì che l'utricolo sia maggiormente sensibile alle accelerazioni che avvengono nel piano orizzontale mentre il sacculo a quelle che avvengono nel piano verticale. Grazie a questa disposizione, l'informazione combinata che proviene dagli organi otolitici è in grado di segnalare, similmente a quanto fanno i canali semicircolari per le accelerazioni angolari, qualsiasi accelerazione lineare avvenga nei tre piani dello spazio.

Fisiologia dei fluidi del labirinto

 

I fluidi del labirinto, perilinfa ed endolinfa, hanno un doppio ruolo fisiologico: concorrono all’attivazione delle cellule ciliate cocleari e vestibolari attraverso la trasmissione del segnale meccanico e partecipano alla trasformazione del segnale in un messaggio nervoso attivando fenomeni molecolari tra i liquidi e le cellule ciliate. Grazie alle osservazioni, tanto istologiche quanto terapeutiche, che hanno suggerito l’esistenza di una relazione tra udito e omeostasi dei fluidi dell’orecchio interno, molti studi hanno permesso di precisare i caratteri fisicochimici dei fluidi del labirinto. Alla fine degli anni Cinquanta due scoperte hanno segnato una svolta decisiva nello studio di questi fluidi: la misura di un potenziale di riposo elevato e positivo nell’endolinfa cocleare (+80 mV rispetto al sangue o alla perilinfa) da parte di Von Bekesy e la dimostrazione di concentrazioni elevate di potassio e basse di sodio nell’endolinfa cocleare e vestibolare da parte di Smith et al. Questi risultati hanno guidato le ricerche, in particolare nella coclea, per i trenta anni successivi, ricerche sviluppate a partire da concetti e tecniche elaborati per la fisiologia cellulare e per la fisiologia dei trasporti transmembranari. Nei successivi venti anni sono state applicate le tecniche di biologia cellulare e molecolare allo studio dell’orecchio interno. La tappa seguente è stata superata con l’identificazione di numerose mutazioni coinvolte nella comparsa di sordità sindromiche o non sindromiche. Attualmente, la composizione dei fluidi del labirinto è ben stabilita, sono state precisate le origini rispettive di perilinfa ed endolinfa, sono stati chiariti i meccanismi cellulari implicati nella secrezione di ciascuno di questi liquidi e sono stati identificati alcuni dei sistemi regolatori di tali fluidi. I progressi realizzati nella comprensione dei meccanismi fisiopatologici implicati nel mantenimento dell’omeostasi dei fluidi dell’orecchio interno dovrebbero permettere, in un prossimo futuro, di aprire nuove strade per la terapia delle sordità e delle vertigini legate direttamente o indirettamente alle anomalie di tali fluidi.

Composizione dei fluidi del labirinto
Nell’orecchio interno il labirinto membranoso, epitelio neurosensoriale eterogeneo e serrato separa due compartimenti ripieni di liquidi extracellulari di composizione chimica molto diversa. Le cavità del labirinto membranoso sono riempite di endolinfa, mentre gli spazi compresi tra i labirinti membranoso e osseo sono pieni di perilinfa. Nella coclea dei mammiferi l’endolinfa è contenuta nella scala media o canale cocleare, la perilinfa nella rampa vestibolare e nella rampa timpanica (Fig. 1). È da notare che la quasi totalità dei dati della letteratura è stata ottenuta negli animali. Sono stati realizzati pochi studi nell’uomo, spesso nel corso della chirurgia dell’otospongiosi, del sacco endolinfatico o dello schwannoma vestibolare. Questi studi, spesso datati, riguardano un piccolo numero di casi e l’interpretazione dei risultati, tenuto conto della patologia sottostante da una parte e della difficoltà a non avere contaminazioni (plasma, liquido cefalorachideo [LCR]) dall’altra, è spesso difficile. Tuttavia, i risultati ottenuti nell’uomo sono del tutto equivalenti a quelli ottenuti nei piccoli mammiferi di laboratorio.

Composizione dell’endolinfa
L’endolinfa ha una composizione del tutto originale: è un liquido ricco di potassio (K+, 150 a 180 mM) e di cloro (Cl-,~150 mM), e povero di sodio (Na+, ~1 mM). Le concentrazioni di Na+ e K+ sono simili nelle diverse parti del sistema endolinfatico, a eccezione del sacco endolinfatico, e questo nei mammiferi come negli uccelli, nei rettili come negli anfibi.
Tra gli altri componenti dell’endolinfa (studiati soprattutto nella coclea), occorre notare che i livelli di calcio (0,02 mM nella coclea, 0,20 mM nel vestibolo), magnesio (0,01 mM nella coclea), proteine (0,6 g/l nella coclea) e glucosio (<0,6 mM nella coclea) sono molto più scarsi nell’endolinfa che nella perilinfa e nel plasma. Al contrario, il pH dell’endolinfa è simile a quello del plasma o della perilinfa.
Altra particolarità di questo liquido, l’endolinfa è iperosmotica (330 mOsm/l) rispetto alla perilinfa e al plasma. Questa osmolarità è legata soprattutto alla concentrazione elevata di
KCl.
Potenziale endolinfatico
Il potenziale transepiteliale o endolinfatico (endococleare nella coclea), misurato mediante l’introduzione di un microelettrodo nelle diverse cavità del sistema endolinfatico, è positivo
in rapporto al sangue o alla perilinfa, ma il suo valore varia secondo la cavità in cui è misurato: da +80 a +110 mV nella coclea dei mammiferi, da +15 a +20 mV nella coclea degli uccelli, da +10 a +20 mV nel sacco endolinfatico dei mammiferi, +5 mV nell’apparato vestibolare dei mammiferi, degli uccelli e nelle diverse cavità endolinfatiche dell’orecchio interno di rettili e anfibi.
In corso di anossia o in caso di somministrazione di vari farmaci (diuretici, uabaina), questo potenziale diminuisce, per poi raggiungere un valore negativo chiamato «potenziale
d’anossia». Questo potenziale negativo corrisponderebbe al trasporto passivo di K+ che esce dall’endolinfa attraverso l’organo del Corti.
Gradienti longitudinali intracocleari
I valori del potenziale endococleare, delle concentrazioni ioniche e dell’osmolarità non sono uniformi da un giro all’altro della coclea dei mammiferi. Il potenziale endococleare e le
concentrazioni di K+ e di Cl-, così come l’osmolarità, si riducono dalla base verso l’apice della coclea. Si deve notare che l’attività dell’Na+,K+-adenosina trifosfatasi (ATPasi), coinvolta nella secrezione di K+ (cfr. infra), si riduce anche dalla base verso l’apice della coclea. Al contrario, le concentrazioni di Na+ e di calcio ionizzato (Ca2+) aumentano dalla base verso l’apice. Il pH dell’endolinfa del giro basale non è invece diverso da quello del
giro medio della coclea.
Liquido intraluminale nel sacco endolinfatico

La composizione dell’endolinfa nel sacco endolinfatico è del tutto diversa da quella contenuta negli altri compartimenti endolinfatico o perilinfatico [3]:
• il rapporto delle concentrazioni Na+ e K+ è inverso a quello del sistema endolinfatico cocleare o vestibolare, con 100 mmol/l di Na+ e 10 a 20 mmol/l di K+;
• la concentrazione di proteine qui è più elevata (~10-30 g/l);
• il potenziale transepiteliale è basso: +10-+20 mV, luce positiva;
• il pH è più acido: 6,0-7,0.
Perilinfa
La perilinfa ha una composizione simile a quella di un liquido extracellulare: il catione principale è il Na+ (140 mM) e l’anione principale il Cl- (120 mM), la concentrazione di
proteine è bassa (~2 g/l). Esistono differenze di composizione tra le perilinfe delle rampe vestibolare e timpanica: le concentrazioni di K+, proteine e glucosio (~4 mM) sono più elevate nella perilinfa vestibolare che nella perilinfa timpanica. Inoltre, questi due liquidi differiscono per la loro composizione in aminoacidi.
Si possono realizzare scambi tra i due liquidi all’apice della coclea attraverso l’elicotrema e in ognuno dei giri della coclea attraverso il legamento spirale. In effetti, la maggior parte degli
studi è stata realizzata nei roditori che hanno un acquedotto cocleare permeabile, cosa che consente scambi tra il LCR e la perilinfa timpanica (Fig. 2). Alcuni lavori hanno dimostrato che la composizione della perilinfa timpanica variava in funzione del volume di liquido prelevato e l’osservazione che la composizione della perilinfa timpanica è diversa da quella della perilinfa vestibolare resta controversa, in particolare per quel che riguarda la concentrazione di K+.

Liquidi a contatto con le cellule sensoriali
Nella coclea è possibile identificare la cortilinfa che occupa gli spazi extracellulari dell’organo del Corti e la linfa sottotectoriale che è contenuta nello spazio compreso tra la membrana tectoria e il piano cuticolare delle cellule ciliate. Con lo studio in vitro dell’organo del Corti con microsonde elettroniche è stato dimostrato che i livelli di Na e K della cortilinfa sono simili a
quelli della perilinfa e che quelli della linfa sottotectoriale sono simili a quelli dell’endolinfa.

Formazione della perilinfa
La perilinfa può derivare da due differenti fonti (Fig. 2): da una parte, il plasma può essere il precursore della perilinfa con le reti vascolari capillari, particolarmente sviluppate nel rivestimento tissutale della rampa vestibolare; dall’altra, la LCR può essere all’origine della perilinfa, dato che gli spazi subaracnoidei e il giro basale della rampa timpanica comunicano mediante l’acquedotto cocleare. Molti studi hanno tentato di precisare, nei roditori, i meccanismi implicati nella formazione della perilinfa e le parti rispettive di plasma e di LCR.
Barriera ematoperilinfatica
Lo studio della penetrazione nella perilinfa di diverse molecole ha dimostrato che il plasma è il liquido precursore della perilinfa vestibolare. Il meccanismo implicato nella formazione della perilinfa non è un’ultrafiltrazione. In effetti, anche se la concentrazione di proteine è scarsa, nessuno degli ioni contenuti nella perilinfa si distribuisce secondo l’equilibrio di Gibbs-Donnan. Inoltre, è stato possibile mettere in evidenza alterazioni della composizione della perilinfa senza modificazioni della composizione plasmatica.
La nozione di «barriera ematoperilinfatica» è stata ipotizzata per la lentezza degli scambi tra il plasma e la perilinfa. Questa barriera, come la barriera ematoencefalica, è localizzata nei
capillari perilinfatici: il loro rivestimento è continuo, con cellule endoteliali unite da giunzioni serrate e il cui contenuto in vescicole di pinocitosi è scarso. I caratteri della barriera ematoperilinfatica studiati fino ad oggi sono:
• l’impermeabilità delle macromolecole;
• la selettività agli elettroliti e alle molecole idrosolubili neutre in funzione del loro peso molecolare;
• la presenza di un trasporto facilitato di D-glucosio. Questo trasportatore sarebbe di tipo GLUT1. È stato localizzato con immunistochimica nelle cellule endoteliali vascolari.
Schematicamente, la permeabilità della barriera ematoperilinfatica alle molecole idrosolubili può essere riassunta come segue: Na ≈K≈ Cl ≈ D-glucose > urée > L-glucose ≈ mannitol ≈ sucrose. Sul piano fisiopatologico questa barriera ematoperilinfatica limita l’ingresso delle molecole che possono avere un effetto tossico sulle cellule sensoriali, come gli aminoglicosidi. Allo stesso modo, però, essa limita l’uscita di queste stesse molecole che sono riuscite a superare una prima volta tale barriera (a causa di una concentrazione elevata in modo duraturo nel plasma, per esempio) e può così concorrere al fenomeno ototossico a motivo
dela lenta eliminazione del tossico dalla perilinfa.
Secrezione della perilinfa
Oltre agli scambi attraverso una barriera, si ipotizza l’esistenza di una secrezione della perilinfa vestibolare per spiegare l’ingresso più rapido di Na+ (molecola caricata) che dell’urea
(molecola neutra) nella perilinfa. Una tale differenza esiste anche nel LCR, liquido la cui composizione risulta allo stesso tempo da scambi attraverso la barriera ematocerebrale e da una secrezione da parte dei plessi corioidei. Questa secrezione potrebbe essere localizzata nella zona vasculoepiteliale del limbus spirale, dove sono state identificate attività elevate di
Na+, K+-ATPasi e di anidrasi carbonica. Anche i fibrociti del legamento spirale potrebbero essere implicati: vi è stata messa in evidenza un’attività Na+,K+-ATPasi. La secrezione epiteliale della perilinfa potrebbe dipendere dall’attività dell’anidrasi carbonica, perché l’ingresso del Cl- nella perilinfa, come quello nel LCR, diminuisce dopo somministrazione di acetazolamide, inibitore specifico di questo enzima.
Differenze tra perilinfa timpanica e perilinfavestibolare: ruolo del liquido cefalorachideo

Sono state messe in evidenza differenze di cinetica di trasporto tra la perilinfa vestibolare e quella timpanica: L’ingresso del mannitolo e del saccarosio è più rapido nella perilinfa vestibolare che nella perilinfa timpanica e nel LCR. Tuttavia, la perilinfa timpanica è di solito prelevata nel giro basale della coclea dei roditori, il che fa intervenire una distorsione
nell’analisi dei risultati. In effetti, la perilinfa timpanica del giro basale è formata in gran parte da un flusso LCR attraverso l’acquedotto cocleare, permeabile nei roditori, mentre il LCR partecipa solo per meno del 10% alla formazione della perilinfa vestibolare. Nell’uomo sono stati realizzati pochi studi. Sembra che l’acquedotto cocleare, permeabile nel bambino, si occluda gradualmente con tessuto connettivo più denso, il che limiterebbe gli scambi, ma permetterebbe l’equilibrio delle pressioni. Il fatto che il LCR partecipi, almeno in parte, alla
formazione della perilinfa timpanica dalla base della coclea non sembra indurre un ruolo fisiologico importante. In effetti, l’ostruzione dell’acquedotto cocleare non modifica l’udito
nell’animale.
Formazione dell’endolinfa
Il liquido precursore dell’endolinfa è la perilinfa e non il plasma. Questo risultato è stato ottenuto con l’analisi delle cinetiche di ingresso nell’endolinfa di traccianti radioattivi del
K+ e del Cl- somministrati per via perilinfatica e per via venosa (per una review cfr. [1, 2]). Gli elettroliti sono trasportati tra la perilinfa e l’endolinfa da meccanismi attivi, poiché nessuno di essi è in equilibrio elettrochimico da una parte all’altra dell’epitelio
labirintico.
Secrezione di K+: ruolo delle diverse strutture che formano l’epitelio labirintico

Schematicamente, l’epitelio cocleare comprende tre strutture:
la membrana di Reissner, la stria vascolare e l’organo del Corti.
Ognuna di queste strutture, in modo indipendente e coordinato, concorre all’omeostasi dell’endolinfa.
Membrana di Reissner
La membrana di Reissner è formata da due tipi di cellule:
mesoteliali sul versante perilinfatico ed epiteliali sul versante endolinfatico, queste ultime unite da giunzioni serrate. Sono state localizzate cariche negative sul versante perilinfaticoche possono rappresentare una barriera all’ingresso delle molecole cariche negativamente, in particolare il Cl-, dalla perilinfa verso l’endolinfa .

Sul versante endolinfatico delle cellule epiteliali sono stati messi in evidenza dei canali non
selettivi, attivati dallo stiramento (stretch-activated) [15]. Questi canali potrebbero partecipare alla riduzione di volume del compartimento endolinfatico nell’idrope endolinfatica, substrato anatomico della malattia di Ménière, favorendo una fuoriuscita di K+ dall’endolinfa verso la perilinfa. In effetti, in un modello sperimentale di idrope indotto nella cavia con la distruzione del sacco endolinfatico e il blocco del dotto vestibolare, si osserva una distensione progressiva della membrana di Reissner, come anche una debole riduzione della concentrazione di K+ e dell’osmolarità dell’endolinfa, nonché una riduzione
molto marcata del potenziale endococleare.
Stria vascolare
È stato stabilito con certezza che la stria vascolare è responsabile della secrezione di K+ nell’endolinfa. La stria vascolare forma un compartimento chiuso grazie alla presenza di giunzioni strette tra le cellule marginali da una parte e le cellule basali dall’altra, isolando così completamente i compartimenti endolinfatico e perilinfatico.
I trasportatori implicati nel trasporto di K+ sono stati per la maggior parte identificati e localizzati nelle diverse cellule che formano la stria vascolare (Fig. 3), e la loro attività è stata
convalidata in modelli di topi in cui alcuni geni sono stati alterati, in particolare i geni KCNJ10 , SLC12A2, KCNE1 e KCNQ1 .
Il K+ presente nel compartimento perilinfatico del legamento spirale entra nei fibrociti con una pompa Na+, K+-ATPasi (inibitore: uabaina) e penetra attraverso giunzioni comunicanti
nelle cellule basali della stria vascolare, poi nelle cellule intermedie. Il K+ è successivamente secreto nello spazio intrastriale. Una parte di questo trasporto si realizza attraverso i canali
Kir 4.1 (KCNJ10). Il K+ entra nel polo basolaterale delle cellule marginali con un Na+,K+-ATPasi di tipo a1, b2 e un cotrasporto Na-K-Cl (SLC12A2 o NKCC1 o BSC2, inibitore: bumetanide, furosemide). Il Cl- è riciclato verso lo spazio intrastriale attraverso i canali CLC-KA e CLC-KB. Mutazioni del gene che codifica per la barttina, una proteina regolatrice associata a questi canali Cl-, sono state riscontrate nella sindrome di Bartter di tipo IV associata a sordità di percezione. Al polo apicale delle cellule marginali, il K+ è secreto da un canale IsK/KvLQT1 (KCNE1/KCNQ1) (inibitori: clofilium; stimolatore: DIDS [4,4'-
diisothiocyano-2,2'-disulfonic acid stilbene]). Perché un tale dotto possa secernere K+ nell’endolinfa, bisogna che il gradiente elettrochimico di K+ sia favorevole alla dismissione del K+ dalla cellula verso l’endolinfa. Una tale ipotesi è resa possibile dall’osservazione di un potenziale di membrana nelle cellule marginali di 10 mV superiore al potenziale endococleare e di una composizione ionica intracellulare simile a quella dell’endolinfa. Nell’uomo, mutazioni di KCNQ1/KCNE1 sono responsabili della sindrome di Romano-Ward, o sindrome
del QT lungo, e sindrome di Jervell/Lange-Nielsen che associa una sindrome del QT lungo a una sordità neurosensoriale. Il potenziale endococleare sarebbe generato dalle cellule
intermedie, e più particolarmente dai canali K+ KCNJ10. In effetti, l’espressione di questo canale nel corso dello sviluppo è parallela alla formulazione del potenziale endococleare.
Inoltre, i topi che non hanno cellule intermedie o nelle quali questo canale è stato alterato hanno una concentrazione normale di K+, ma un potenziale endococleare vicino a 0.
Riciclaggio del K+
Il concetto di riciclaggio del K+ è stato ipotizzato in occasione della scoperta della rete estremamente sviluppata nella coclea delle giunzioni comunicanti (gap junctions). Queste giunzioni formano veri canali tra le cellule, permettendo la diffusione libera di piccole molecole (<1 000 Da), come i nutrienti, i secondi messaggeri e gli ioni. Sono formate da due emicanali chiamati «connessoni» e ogni connessone è costituito dall’assemblaggio omo- o eterotipico di sei proteine, le connessine. Il ruolo delle connessine nella fisiologia cocleare è stato oggetto di un certo numero di studi. In effetti, nell’uomo le mutazioni delle connessine 26 e 30 sono le più frequenti cause di sordità genetiche non sindromiche.
Il riciclaggio del K+ implica tappe che sono molto ben documentate sul piano sperimentale (organo del Corti, stria vascolare) e tappe più ipotetiche basate su dati da microscopia
e immunoistochimica (Fig. 4). Nell’organo del Corti le cellule ciliate sono la sede della
trasduzione meccanoelettrica, cioè della trasformazione delsegnale sonoro in influsso nervoso. Il flusso di K+ attraverso le cellule sensoriali è una fase determinante di questo processo, inducendo una depolarizzazione cellulare, un aumento della concentrazione di Ca2+, un rilascio di glutammato nello spazio sinaptico tra il polo basale della cellula sensoriale e la fibra afferente e una stimolazione della fibra afferente. Il K+ è eliminato al polo basolaterale della cellula ciliata. Il K+ sarebbe captato dalle cellule non sensoriali, in particolare del sulcus esterno. Questo circuito potrebbe permettere di attenuare le
variazioni della composizione di K+ risultante dalle fluttuazioni degli stimoli sonori. Il K+ presente nel polo basolaterale delle cellule ciliate può essere trasportato attraverso la rete delle giunzioni comunicanti, raggiungendo gli spazi perilinfatici del limbus spirale e del legamento spirale. Il K+ raggiungerebbe poi il compartimento endolinfatico attraverso le reti connettivali e le giunzioni comunicanti o attraverso il legamento spirale e la stria vascolare (cfr. Fig. 3) o attraverso le cellule interdentali (ID), raggiungendo così il compartimento endolinfatico.
Assorbimento di Na+
Mentre i meccanismi cellulari implicati nella secrezione di K+ sono stati molto studiati, pochi studi si sono interessati ai meccanismi di assorbimento di Na+ responsabile della concentrazione molto debole di questo ione nell’endolinfa. I trasportatori identificati sono il canale del sodio epiteliale (ENaC) e lo scambiatore Na+/H+. Le sedi preferenziali di assorbimento di Na+ sarebbero la membrana di Reissner e il sulcus esterno. Alcuni esperimenti di corrente di cortocircuito hanno messo in evidenza un trasporto di Na
inibito dagli analoghi dell’amiloride, in queste due strutture.
Nella stria vascolare il trasporto di Na+ è accoppiato a quello di K+ dalla Na+, K+-ATPasi e dal cotrasporto Na-K-Cl. Nell’uomo nessuna sordità è stata correlata a una mutazione dei canali del sodio. Tuttavia, mutazioni di TMPRSS3, una serina proteasi nota per attivare il canale ENaC e localizzata nella stria vascolare, le cellule di sostegno dell’organo del Corti e il ganglio spirale sono stati chiamati in causa nelle sordità autosomiche recessive DFNB8/10.
Trasporto dell’acqua
Il trasporto dell’acqua nella coclea è poco conosciuti. La questione principale è quella di far coesistere l’iperosmolarità dell’endolinfa in rapporto al plasma o alla perilinfa e l’osservazione
che la barriera epiteliale tra la perilinfa e l’endolinfa è circa 130 volte più permeabile all’acqua che al K+.
Negli epiteli assorbenti e secretori come il rene, il trasporto transepiteliali dell’acqua dipende dall’inserzione dei canali ad acqua, chiamati «aquaporine» (AQP), nella membrana cellulare.
Sono stati messi in evidenza diversi tipi di aquaporine (per immunoistochimica) nelle diverse strutture dell’orecchio interno. Le più abbondanti sono l’AQP-1 e la AQP-4, e la loro
espressione è largamente regolata nel corso dello sviluppo [34]. Nessun caso di sordità è ancora stato correlato, nell’uomo alla mutazione di un’aquaporina. Questa osservazione è sicuramente legata a una ridondanza delle diverse aquaporine presenti nell’orecchio interno. Bisogna sottolineare che i topi il cui gene che codifica l’AQP-4 è stato alterato sono sordi. Questa sordità è endococleare e riguarda tutte le frequenze. L’istologia della coclea è normale. La sede dell’AQP-4 nell’organo del Corti suggerisce un’anomalia della regolazione osmotica intracellulare delle cellule di sostegno, che rivestono un ruolo nel riciclaggio del K+.
Secrezione di endolinfa nel vestibolo
La differenza maggiore tra coclea e vestibolo riguarda il valore del potenziale endolinfatico. Le variazioni di ripartizione dei segmenti secretori (stria vascolare, cellule scure) e non secretori (membrana di Reissner, cellule epiteliali indifferenziate) potrebbero spiegare le differenze di composizione elettrochimiche dell’endolinfa osservate da un organo all’altro del sistema endolinfatico da una parte e, dall’altra, da una specie all’altra. Inoltre, l’organizzazione cellulare della stria vascolare, con tre tipi di cellule in serie, paragonata al sistema monostrato di cellule scure del vestibolo (otricolo e ampolle dei canali semicircolari), potrebbe essere responsabile della genesi del potenziale endococleare. Un argomento forte in favore di questa ipotesi è l’assenza di potenziale endococleare nei topi il cui gene
che codifica per il canale K+ delle cellule intermedie è stato alterato.
Ruolo del sacco endolinfatico
Il sacco endolinfatico, estensione endocranica del labirinto membranoso, è stato oggetto di numerosi lavori. Il suo ruolo nell’omeostasi dell’endolinfa è stato suggerito mettendo in evidenza, nell’animale, un’idrope endolinfatica in caso di sua distruzione. Nell’uomo, è generalmente ammesso che il sacco endolinfatico potrebbe intervenire come sistema di regolazione del volume dell’endolinfa, e si ipotizza una sua disfunzione nella comparsa della malattia di Ménière. La composizione del liquido intraluminale, intermedia tra endolinfa e perilinfa, la presenza di un potenziale transepiteliale positivo e di un gradiente di pH, come anche la struttura istologica delle cellule epiteliali, indicano che il sacco è sede di trasporti transepiteliali, trasporti che sono stati identificati sia sul piano molecolare sia su quello funzionale. A causa della sua dimensione e della sua localizzazione gli studi sperimentali sono difficili, ma è indiscutibile che questa struttura interviene nella regolazione del flusso di acqua e di elettroliti nei compartimenti del labirinto.
Regolazione dei trasporti idroelettrolitici nell’orecchio interno
Nell’orecchio interno sono stati studiati diversi sistemi di regolazione endocrina e paracrina.
Il primo enzima bersaglio di una regolazione ormonale è la Na+,K+-ATPasi. In effetti, si è visto da una parte il ruolo preponderante di questo enzima nella secrezione dell’endolinfa
e, dall’altra, esistono nelle cellule marginali recettori dei mineralcorticoidi, ormoni noti per stimolare la Na+,K+- ATPasi. Il ruolo di questi ormoni nell’orecchio interno non è
chiaro. Non sono state messe in evidenza modificazioni dell’udito e della composizione elettrochimica dei fluidi dell’orecchio interno in animali surrenalectomizzati. Inoltre, i
topi il cui gene che codifica per il recettore dei mineralcorticoidi è stato alterato non presentano anomalie della Na+,K+-ATPasi cocleare. Tuttavia, è stato dimostrato che l’aldosterone aumenta la frequenza della comparsa di idrope endolinfatica nelle cavie
il cui sacco endolinfatico è stato solo in parte distrutto. Questo risultato suggerisce che l’idrope endolinfatica possa essere il risultato della combinazione di un deficit parziale di
riassorbimento di endolinfa causata dal sacco endolinfatico e di un aumento della secrezione da parte della stria vascolare e/o delle cellule scure vestibolari. Il secondo sistema implicato nella regolazione della secrezione dell’endolinfa è il sistema ormone antidiuretico/ adenilciclasi/AQP-2. Una riduzione del volume plasmatico o un aumento dell’osmolarità plasmatica induce un aumento della concentrazione di ormone antidiuretico (AVP: arginina vasopressina): la stimolazione dei recettori V2 stimola la cascata adenilciclasi/adenosina monofosfato ciclica (AMPc), che stimola l’espressione dell’acido ribonucleico messaggero (ARNm) che codifica per l’AQP-2, così come il livello di inserimento membranario
delle AQP-2 già presenti nella cellula, permettendo così il riassorbimento dell’acqua secondo il gradiente osmotico. Nelle diverse parti dell’orecchio interno è stato possibile dimostrare le
varie tappe di questa cascata, suggerendo che l’AVP possa intervenire nella regolazione del volume e dell’osmolarità dell’endolinfa. L’aumento della pressione intralabirintica diminuisce la concentrazione di ormone in circolo, il che suggerisce, nell’orecchio interno, la presenza di volo- e/o barocettori la cui stimolazione modulerebbe la secrezione di ormone, che potrebbe localmente modificare la secrezione diendolinfa. In effetti, la somministrazione sistemica di AVP nella cavia riduce il potenziale endococleare [41] e induce la comparsa di un’idrope endolinfatica, mentre la somministrazione di antagonisti dei recettori V2 previene lo sviluppo di quest’idrope. Nei ratti Brattleboro, geneticamente privi di AVP, è stato dimostrato [44] che il gradiente longitudinale osmotico è abolito e che la somministrazione di ormone ricostituisce questo gradiente stimolando la secrezione di K+. Tuttavia, nell’uomo la relazione tra malattia di Ménière e concentrazione plasmatica di AVP rimane controversa.
Infine, altri mediatori potrebbero essere implicati nella regolazione dei fluidi dell’orecchio interno: si tratta delle prostaglandine, delle quali è stato possibile dimostrare una
sintesi locale, il fattore natriuretico, i cui recettori sono stati
identificati, e il platelet activating factor (PAF), che modifica il potenziale endococleare. Gli estrogeni (17bestradiolo) inibiscono in maniera acuta (probabilmente non genomica) la secrezione di K+ attraverso il canale KvLQT1 in un preparato di stria vascolare isolata [49]. In questa stessa struttura è stato dimostrato che il rilascio di K+ è rispettivamente
up-regolato e down-regolato attraverso i recettori b1-adrenergici e i recettori muscarinici M3 e M4. Localmente, l’adenosina trifosfato (ATP), i cui recettori sono stati identificati, potrebbe
avere un ruolo protettivo, in particolare al momento dei traumi sonori, riducendo il potenziale endococleare e, di conseguenza, la trasduzione meccanosensoriale a livello delle cellule ciliate, permettendo così un ripristino più rapido dell’udito [51].
La lista dei possibili regolatori della secrezione di endolinfa non è esaustiva ed è verosimile che altri fattori ormonali attivi nell’epitelio labirintico saranno messi in evidenza in un
prossimo futuro.
Conclusioni
I progressi nella caratterizzazione molecolare dei sistemi di trasporto idroelettrolitici implicati nella fisiologia dei fluidi dell’orecchio interno hanno permesso di comprendere meglio
alcune patologie, particolarmente nel campo delle sordità genetiche e della malattia di Ménière. In un secondo tempo, queste conoscenze dovrebbero permettere lo sviluppo di nuove terapie di sordità e vertigini legate ad anomalie di questi trasporti.