Aneurismi e altre malformazioni vascolari

 

                  GLI ANEURISMI E ALTRE MALFORMAZIONI VASCOLARI

Le anomalie vascolari responsabili della comparsa di una sindrome dell’angolo ponto-cerebellare sono quelle che si manifestano nel tratto posteriore del circolo del Willis. Gli aneurismi rappresentano circa il 6% delle formazioni a carattere espansivo che interessano questa sede. Nella maggior parte dei casi, essi originano dall’arteria vertebrale in prossimità della basilare, o dalla cerebellare postero-inferiore. Il quadro otoneurologico dell’aneurisma (deficit dei nn. VII e VIII, interessamento cerebellare e pontino) va in certi casi attentamente valutato par la diagnosi differenziale col neurinoma dell’VIII. Questa si basa sui reperti della TAC e, in particolar modo, sull’indagine angiografica mediante una RMN eseguita con mdc che permetteranno di differenziare la forma aneurismatica da altre lesioni a carattere espansivo dell’angolo ponto-cerebellare. Qui sotto vengono trattate gli aneurismi e malformazioni vascolari in generale 

Emorragia subaracnoidea, aneurismi

e altre malformazioni vascolari

Massimo Rollo , Flora Desiderio , Rosalinda Calandrelli , Alessandro Pedicelli


Emorragia subaracnoidea

INTRODUZIONE

111L’emorragia subaracnoidea (ESA) è un sanguinamento nello spazio compreso tra aracnoide e pia madre; rappresenta circa il 5% degli eventi cerebrovascolari acuti (stroke) ed è causata per l’85% dalla rottura di un aneurisma cerebrale ( Fig. 5.1 ). Studi epidemiologici indicano una maggiore incidenza nella fascia di età compresa tra i 45 e i 55 anni, con una prevalenza della patologia nel sesso femminile. Sebbene l’incidenza in base al sesso vari con l’età, il rischio di ESA è circa il 25% più elevato nelle donne sopra i 55 anni rispetto agli uomini della stessa età.

La trombosi venosa, le malformazioni vascolari arterovenose, le vascu­liti e le neoplasie primarie o secondarie rappresentano una causa meno frequente di ESA. Nel 14-22% dei casi la diagnostica per immagini (DPI) non riconosce la causa, imputata pertanto a rottura di microaneurismi (aneurismi di Charcot) o a varianti del drenaggio del sistema venoso profondo. Gli aneurismi cerebrali hanno un’incidenza dell’1-2%, ma questa percentuale sembra superiore se si considerano i frequenti riscon­tri occasionali durante le indagini RM e/o TC eseguite per indicazioni non specifiche; l’incidenza clinica nell’infanzia è dell’1,9-3%. Il rischio di rottura di un aneurisma è compreso tra lo 0,8 e il 2,5% annuo in re­lazione alla natura, alle dimensioni e alla sede. L’aneurisma più comune è quello sacciforme ( berry ), su base congenita; seguono, in ordine, gli aneurismi fusiformi di natura infiammatoria o dissecante, le duplicazio­ni arteriose e i cosiddetti aneurismi blister-like che, pur presentandosi con la DPI come dilatazioni aneurismatiche, sono fissurazioni arteriose con formazione di uno pseudoaneurisma, privo di una vera e propria parete ( Fig. 5.2 ). Gli aneurismi infiammatori e quelli blister-like presentano un rischio emorragico più alto delle altre forme.

CENNI DI CLINICA

E STORIA NATURALE DELL’ESA

L’ESA è un evento acuto con mortalità del 30% nelle prime 24 ore dal sanguinamento e del 50-60% nelle successive 4 settimane. L’en­tità dell’emorragia condiziona la clinica, con quadri che vanno dalla


cefalea associata a rigor nucalis , al coma profondo e alla morte cerebrale. La classificazione di Hunt-Hess suddivide i pazienti con ESA in cinque classi, sulla base della presentazione clinica, al fine di ottimizzare il trattamento e migliorare la prognosi ( Tab. 5.1 ). L’ESA si presenta con distribuzione pericefalica e cisternale, talvolta associata a ematoma in­traparenchimale. In molti casi è possibile, sulla base della localizzazione e della preponderanza del sanguinamento in una determinata cisterna, ipotizzare la sede del sanguinamento. La comunicazione tra compar­timento subaracnoideo e intraventricolare e la natura arteriosa del sanguinamento comportano frequentemente emoventricolo, talvolta con ostacolo alla circolazione liquorale e idrocefalo (postemorragico). L’idrocefalo può essere evolutivo e causare aumento della pressione in­tracranica (PIC), con progressivo peggioramento clinico; più spesso però l’ostacolo e l’idrocefalo sono transitori e si risolvono spontaneamente. I radicali liberi, prodotti dalla degradazione del sangue nello spazio su­baracnoideo, rappresentano un fattore irritativo sulle pareti avventiziali delle arterie, con frequente vasospasmo, più marcato a partire dalla terza giornata dall’ESA e fino a dopo 10-15 giorni. L’incidenza del vasospasmo è variabile, in parte correlata con la quantità di sangue cisternale, in parte dipendente da fattori di reattività individuali, connessi all’età del pazien­te. Nel bambino sotto i 5 anni il vasospasmo non insorge e nell’anziano l’incidenza risulta inferiore rispetto alle fasce medie di età.

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DELL’ESA

Gli obiettivi della DPI dell’ESA possono essere schematizzati come segue:

·       accertamento;

·       identificazione e caratterizzazione della causa (aneurismi cerebrali);

·       riconoscimento delle eventuali complicanze.

Accertamento dell’ESA

Alla valutazione clinica si affianca, in regime d’urgenza, la TC senza mezzo di contrasto (mdc). La TC ha elevata sensibilità nel ricono­scimento dell’iperdensità emorragica e nella definizione della sua distribuzione nello spazio subaracnoideo, nonché nell’individuazione di veri e propri ematomi intracisternali o ematomi intraparenchimali


Figura 5.1 Emorragia subaracnoidea da rottura di aneurisma dell’arteria comunicante posteriore. A,B. TC senza mdc: iperdensità da ESA

nelle cisterne della base. C. Ipodensità ovalare temporo-mesiale destra (freccia), sospetta per aneurisma, nel contesto della quota emorragica parenchimale e subaracnoidea. D,E. L’angiografia bidimensionale e con ricostruzione tridimensionale (angiografia rotazionale) mostra un voluminoso aneurisma della comunicante posteriore.

D	E	FLa ricostruzione 3D permette un superiore dettaglio del colletto, delle dimensioni, della morfologia dell’aneurisma e dei suoi rapporti con i vasi parenti. F. Controllo angiografico dopo trattamento endovascolare con “coiling”.


Emorragia subaracnoidea, aneurismi e altre malformazioni vascolari

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In letteratura è riportata una sensibilità dell’angio-TC di circa il 90% nel¬la diagnosi degli aneurismi cerebrali; la sensibilità varia con le moderne tecniche di ricostruzione (MPR; MIP; SSD), riducendosi al 60% circa per aneurismi inferiori a 3 mm e per aneurismi periferici. La metodica è altresì gravata da un certo tasso di falsi positivi determinati dall’erro¬nea interpretazione di ectasie infundibulari o tortuosità vascolari. Una volta identificato l’aneurisma è necessario valutarne le caratteristiche morfologiche e i rapporti con le arterie parenti. Un’adeguata valutazione diagnostica prevede la definizione di:
·	localizzazione dell’aneurisma ( Tab. 5.3 );
·	dimensioni e morfologia ( Tab. 5.4 );
·	forma, margini, ampiezza del colletto, ratio (rapporto corpo/colletto) ( Tab. 5.5 ).
Queste informazioni sono necessarie per la scelta tra terapia endo-vascolare e chirurgica e anche per definire la tecnica operatoria più appropriata. La Tabella 5.3 riporta l’incidenza degli aneurismi cerebrali nelle sedi consuete; nella tabella spiccano per frequenza gli aneuri¬smi dell’arteria comunicante anteriore, seguiti da quelli dell’arteria comunicante posteriore e dell’arteria cerebrale media. La sede spesso influenza la morfologia e le dimensioni dell’aneurisma e i rapporti con le arterie parenti.
Gli aneurismi della comunicante anteriore si sviluppano frequentemen¬te per la presenza di varianti anatomiche del distretto anteriore del poli¬gono di Willis, come l’agenesia o l’ipogenesia del tratto A1 di un’arteria cerebrale anteriore; in tal caso la condizione di iperafflusso del tratto A1 della cerebrale anteriore controlaterale che rifornisce i circoli dei due lati è ritenuta la principale causa dello sfiancamento dell’arteria comunicante anteriore. Per tale motivo, questi aneurismi si presentano con un colletto ampio, a volte coinvolgente l’origine del tratto A2, e mostrano una ten¬denza allo sviluppo ventrale. Gli aneurismi con colletto di dimensioni inferiori tendono a svilupparsi prevalentemente nei punti di giunzione dei tratti A1-A2, senza un evidente coinvolgimento dell’arteria comunicante anteriore, con orientamento prevalentemente postero-craniale.
Tra gli aneurismi della carotide interna (CI) intracranica domina per frequenza quello della comunicante posteriore ( Fig. 5.3 A ); in questa sede, l’aneurisma ha sviluppo postero-laterale, morfologia prevalen¬temente allungata e – anche nelle forme con colletto particolarmente ampio – risparmia quasi sempre l’origine dell’arteria comunicante posteriore. Sempre per frequenza, seguono gli aneurismi del tratto of¬talmico della CI, che hanno origine immediatamente a valle dell’arteria
Tabella 5.3 Localizzazione degli aneurismi cerebrali
Comunicante anteriore	30%
Comunicante posteriore	25%
Cerebrale media	20%
Carotide interna	10%
Basilare	5%
Altre	10%
Multipli	20%

Tabella 5.4 Classificazione degli aneurismi cerebrali
Morfologica	Dimensionale
Sacciformi	Piccoli ( < 3 mm)
Fusiformi	Medi (3-9 mm)
Dissecanti	Grandi ( > 9mm)
Duplicazioni	Giganti ( > 15 mm)

Tabella 5.5 Criteri morfologici degli aneurismi cerebrali
Forma	Margini	Colletto	Ratio
Sferica	Regolari	Piccolo	Diametro del colletto/ Diametro del corpo
Allungata	Irregolari	Medio	
Cilindrica	Tasche accessorie	Grande	
Polilobulata	Calcificazioni
 



 Figura 5.3 Vasospasmo post-ESA in aneurisma dell’arteria comunicante posteriore. A. Carotidografia destra: aneurisma dell’arteria comunicante posteriore e spasmo arterioso del tratto distale della carotide e dei tratti prossimali delle arterie cerebrali media e anteriore. B. ECD: conferma di spasmo severo della carotide interna destra, con rilievo di tracciato di bassa velocità, a elevate resistenze periferiche. C. Color-Doppler: stesso reperto. D. Doppler transcranico: il vasospasmo è esteso all’arteria cerebrale media sinistra, con alte velocità campionate nel tratto M1.


Sezione| 1 |Cranio/Encefalo

 

 Figura 5.4 Aneurisma gigante carotideo del tratto oftalmico.

A.  Arteriografia della carotide interna sinistra: visualizzazione dell’aneurisma e dei suoi rapporti con la carotide.

B.  Arteriografia della carotide interna sinistra: controllo dopo trattamento endovascolare con spirali e con stent flow-diverter .


 

oftalmica, si orientano verso l’alto, presentano un colletto solitamente ampio con un rapporto corpo/colletto basso. Difficilmente questi aneurismi coinvolgono l’origine dell’arteria oftalmica; possono avere una tendenza alla crescita progressiva, potendo raggiungere dimensioni grandi o giganti ( Fig. 5.4 A ). Tra gli aneurismi della CI, quelli del tratto terminale sono di riscontro meno frequente, quasi sempre nel punto di divisione tra cerebrale media e anteriore; si sviluppano cranialmente, talvolta con varianti a origine eccentrica rispetto al punto di biforcazio­ne, prevalentemente sul versante della cerebrale media.

Gli aneurismi dell’arteria coroidea anteriore sono rari.

Gli aneurismi dell’arteria cerebrale media (ACM) privilegiano il punto di passaggio fra i tratti M1 ed M2, dove l’ACM si suddivide nelle principali branche corticali a distribuzione temporale e fronto-parietale e solitamente ne coinvolgono una nella loro crescita. Tuttavia, esistono varianti di sede e conformazione della diramazione arteriosa, con possi­bile bi- o triforcazione dell’ACM. Una classica tipologia è rappresentata da sviluppo prevalentemente laterale, sacciforme, con un colletto ampio e con origine di un ramo arterioso direttamente dalla base del sacco aneurismatico. Nelle varianti giganti di questo gruppo, il coinvolgi­mento delle arterie può essere tale che la circolazione del complesso aneurisma-ACM subisce variazioni così complesse da indurre fenomeni di trombosi parziale o subtotale intraneurismatica e fenomeni trombo­embolici spontanei, in uno o più dei distretti arteriosi coinvolti.

Un gruppo a parte è costituito dagli aneurismi del circolo posterio­re (distretto vertebro-basilare) che hanno la comune caratteristica di contrarre stretti rapporti anatomici con il tronco dell’encefalo e, dal punto di vista emodinamico, con la circolazione talamica e cerebel­lare. L’ESA causata da un aneurisma di questo gruppo si associa quasi sempre a emoventricolo ed è gravata da una prognosi peggiore sia in termini di mortalità sia di morbilità ( Fig. 5.5 ). Gli aneurismi del di­stretto vertebro-basilare includono gli aneurismi cerebellari, localizzati più frequentemente all’origine delle arterie cerebellari postero-inferiori o superiori, con morfologia sacciforme. In questo ambito, spicca per rilevanza soprattutto l’aneurisma dell’apice dell’arteria basilare che si riscontra sotto forma di ectasia sacciforme, più o meno ampia, a sviluppo prevalentemente supero-anteriore, con colletto solitamente ampio, che coinvolge l’emergenza delle arterie cerebrali posteriori e, talvolta, delle arterie cerebellari superiori. L’arteria basilare e le arterie vertebrali poste­riori sono anche sede elettiva di aneurismi fusiformi, più o meno estesi, secondari a dissezione o associati a duplicazioni arteriose ( Fig. 5.6 ).

Nel 20% dei casi, gli aneurismi sono multipli e localizzati in diffe­renti distretti. In presenza di ESA, con riscontro di aneurismi multipli, è molto importante individuare l’aneurisma fonte dell’emorragia.

Tra i criteri morfologici usati per definire quale aneurisma si è rotto, si sottolineano le irregolarità dei margini e la presenza di eventuali


lobature o di piccole tasche accessorie, riferibili, presumibilmente, a punti di minore resistenza della parete aneurismatica (Fig. 5.7). Il cri­terio morfologico, tuttavia, non rappresenta una certezza. Più indicativa può essere l’evidenza di uno spasmo segmentario, localizzato su un tratto di arteria in prossimità di uno degli aneurismi, ma il criterio più accreditato rimane la correlazione tra la maggiore concentrazione focale di emorragia e la sede dell’aneurisma. Questa correlazione è utile solo nei casi in cui la TC venga effettuata precocemente dopo l’ESA, prima che la diluizione emoliquorale abbia redistribuito il sangue ( Fig. 5.7 ).

114Nella maggior parte dei casi, l’elevata sensibilità dell’angio-TC per­mette di ottenere tutte le informazioni necessarie, ma in circa il 10% dei casi (secondo quanto riportato in letteratura) non è possibile ottenere una chiara demarcazione tra l’aneurisma e le arterie adiacenti; i sistemi di post-processing con ricostruzioni 3D a volte generano artefatti che aumentano apparentemente le dimensioni del colletto ed evidenziano false fusioni tra il sacco aneurismatico e le arterie adiacenti; questo fenomeno, definito kissing vessel , si riscontra maggiormente negli aneu­rismi di taglia grande ( Fig. 5.1 C).

L’angiografia digitale a sottrazione d’immagine (DSA) rappresenta ancora oggi l’esame gold standard nello studio della patologia vascolare cerebrale; l’alta sensibilità e specificità della metodica sono garantite da una corretta e adeguata esecuzione, basata sul cateterismo selettivo delle arterie cerebroafferenti, corredato dalla angiografia rotazionale 3D (3DRA) che migliora sensibilmente la qualità e la quantità delle informazioni ( Fig. 5.1 E). Lo studio rotazionale permette, dopo l’identificazione dell’aneurisma, l’acquisizione di un’immagine tridimensionale del di­stretto arterioso che fornisce tutte le informazioni morfologiche sull’aneu­risma e sui suoi rapporti con le arterie e consente la scelta della proie­zione angiografica di studio ottimale che diventerà anche la proiezione di lavoro/guida ideale per la successiva fase terapeutica endovascolare. Dunque, sul piano diagnostico, la metodica conferma per lo più i risultati dell’angio-TC, con un valore aggiuntivo nella definizione degli aspetti anatomofunzionali, ai fini della pianificazione terapeutica. Lo studio angiografico è per sua caratteristica una procedura dinamica, che fornisce informazioni sul flusso intralesionale e nel territorio vascolare a valle. Negli aneurismi di taglia medio-grande sono importanti sia la valutazione dinamica del flusso intra-aneurismatico dimostrando l’ inflow e l’ outflow sia la valutazione del flusso nel distretto arterioso a valle. Per aneurismi periferici (prevalentemente infiammatori) e per aneurismi fusiformi o dissecanti è indispensabile definire le caratteristiche della circolazione arteriosa corticale, per prevedere l’attivazione di sistemi anastomotici leptomeningei e procedere a eventuali test di occlusione ( Fig. 5.6 ).

La RM nella diagnostica dell’ESA riveste un ruolo rilevante solo nella fase subacuta, a causa della lunghezza del tempo di esecuzione, delle ine­vitabili limitazioni legate agli artefatti da movimento e della disponibilità



115nei centri di primo soccorso. Dunque la gestione diagnostica dell’ESA in urgenza si avvale soprattutto dell’integrazione tra TC e angiografia digitale, secondo il criterio di un rapido avvio del paziente al trattamento, riducendo il rischio di un risanguinamento, spesso fatale. Il riscontro TC di ESA non corrisponde però inevitabilmente alla successiva indivi‑


duazione di un aneurisma; un certo numero di casi rimane senza una fonte/origine dimostrabile di sanguinamento perché non conseguenti a un aneurisma o perché all’aneurisma si sovrappongono modifica­zioni fisiopatologiche mascheranti. La presenza di un’ESA circoscritta alle cisterne pontine, mesencefaliche o interpeduncolare può essere


 

 

 

Sezione| 1 |Cranio/Encefalo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

espressione di un’ESA sine causa . Condizioni quali vasospasmo, trom­bosi precoce del sacco aneurismatico o rallentamenti di flusso correlati all’ipertensione endocranica rappresentano la causa più frequente della negatività dell’angiografia in fase acuta. Infine, si deve considerare anche la possibilità che l’aneurisma non sia dimostrato a causa dell’uso di una tecnica inappropriata e/o di un’esplorazione angiografica incompleta. In caso di angiografia non diagnostica, il paziente deve essere attenta­mente monitorato, sorvegliato, stabilizzato e avviato in tempi brevi a un successivo step diagnostico, con angio-TC o angio-RM; quest’ultima ha il vantaggio di non esporre ulteriormente il soggetto a radiazioni ionizzanti e di possedere una più ampia capacità esplorativa, potendo escludere le altre più rare cause intrarachidee dell’ESA.

Riconoscimento delle complicanze dell’ESA

L’ESA, specie se abbondante, si associa a vasospasmo e frequentemente ad aumentata pressione intracranica, che a sua volta può arrivare a determinare riduzione della perfusione, aumento dell’edema cerebrale e innesco di un meccanismo di ulteriore incremento della pressione che può portare addirittura alla morte cerebrale, con evolutività nelle ore e nei giorni successivi, segnata anche dalla possibilità di nuovo sanguinamento. Il risanguinamento rappresenta la complicanza più temibile, gravata da un tasso di mortalità del 50-70% e di morbilità del 90%, con picco massimo di frequenza entro le prime 48 ore, successiva rapida riduzione tra la terza e la quarta giornata, incidenza globale del 14% nelle prime 2 settimane. La recidiva può avvenire per l’aumento della pressione transmurale, per lo sfiancamento della parete, per la mobilizzazione/lisi del coagulo sulla breccia dell’aneurisma.

L’idrocefalo postemorragico si può verificare in fase acuta-subacuta (per ostruzione del flusso liquorale endoventricolare) o in fase cronica (per aderenze aracnoidali). La complicanza più frequente dell’ESA è tuttavia il vasospasmo, dimostrabile angiograficamente nel 40-70% dei


 

 

casi, responsabile di una più o meno marcata ipoperfusione generaliz­zata e nel 20-30% dei casi da veri e propri danni cerebrali ischemici.

116A seconda dello stato del paziente, la TC e la RM sono impiegate nello studio delle possibili complicanze. Al doppler transcranico spetta il ruolo principale nella diagnostica e nel monitoraggio del vasospasmo cerebrale ( Fig. 5.3 B-D).

Aneurismi cerebrali

CONCETTI GENERALI

DELLA TERAPIA ENDOVASCOLARE

Il trattamento endovascolare rappresenta attualmente l’opzione di prima scelta nella terapia degli aneurismi cerebrali, in particolar modo nel trattamento in fase acuta dopo ESA. La preferenza per il trattamento endovascolare è quasi generalmente riconosciuta, per la minore invasi­vità rispetto alla chirurgia (tassi di complicanze inferiori) e per l’elevata capacità di prevenzione del risanguinamento. La terapia, che dovrebbe seguire immediatamente la fase angiografica/diagnostica è basata sul microcateterismo superselettivo del sacco aneurismatico, con successiva occlusione mediante posizionamento di spirali a distacco controllato, metalliche, biocompatibili. L’indicazione elettiva è quella rivolta al trattamento di aneurismi con colletto di piccole dimensioni, per il quale si ottengono agevolmente risultati ottimali, anatomici e clinici. Gli aneurismi con colletto ampio necessitano, a volte, di una tecnica più complessa, con sistemi di contenimento per le spirali, costituiti da palloncini di occlusione o stent ( remodelling technique o stenting associato). Queste metodiche comportano un aumento del rischio rispetto al semplice coiling , ma garantiscono un risultato finale migliore


Emorragia subaracnoidea, aneurismi e altre malformazioni vascolari

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e prevengono/riducono le temibili complicanze tromboemboliche, non rare, nella cura endovascolare degli aneurismi a colletto ampio.

Nella terapia endovascolare degli aneurismi di taglia grande o gigan­te, la frequenza di recidiva dopo terapia con il solo coiling può essere ridotta con l’impiego degli stent “a diversione di flusso” ( flow diverter ), di recente introduzione; questi stent, a maglia fitta, sono posizionati a cavallo del colletto dell’aneurisma, in modo tale da indurvi una progressiva, spontanea trombosi, ma non trovano oggi indicazione in regime d’urgenza in quanto necessitano di una terapia antiaggregante per scongiurare le complicanze di una trombosi dello stent ( Fig. 5.4 ).

La chirurgia trova indicazione secondaria in tutti quei casi in cui la terapia endovascolare non possa garantire il risultato o sia gravata da un rischio eccessivo di complicanze. Esistono aneurismi che sono ap­pannaggio elettivo della terapia endovascolare, come tutti gli aneurismi del circolo posteriore, ed esistono indicazioni prevalenti alla chirurgia per gli aneurismi più superficiali del circolo anteriore, come quelli dell’ACM. La scelta tra terapia endovascolare e neurochirurgica è condi­zionata anche dalla gravità dello stato clinico del paziente: nelle forme di HH Hunt-Hess 3 e 4 si privilegiano le modalità meno invasive.

Malformazioni arterovenose cerebrali

INTRODUZIONE

Le malformazioni arterovenose (MAV) sono il risultato della disfunzio­ne dei processi di migrazione e maturazione dei capillari embrionali, a cui si sovrappongono la reazione e l’adattamento dell’albero vascolare circostante. Rappresentano circa il 25% delle malformazioni vascolari cerebrali, con un’incidenza nella popolazione compresa tra lo 0,6 e il 7%; in questo gruppo rientra anche la malformazione aneurismatica della vena di Galeno (MAVG) che rappresenta circa l’l% di tutte le MAV intracraniche dell’età pediatrica. I due sessi sono colpiti in egual misura; le manifestazioni cliniche sono prevalenti in un range d’età compreso tra i 20 e i 40 anni, con una localizzazione sopratentoriale (85%) prevalente su quella sottotentoriale (15%).

Le MAV sono classificate sulla base di criteri dimensionali in:

·       MAV piccole , con nidus inferiore a 3 cm ( Fig. 5.8 );

·       MAV medie , con nidus compreso tra 3 e 6 cm;

·       MAV grandi , con nidus superiore a 6 cm.


Dal punto di vista topografico, invece, sono classificate in:

·       MAV superficiali ;

·       MAV profonde ;

·       MAV coroidee .

A loro volta le MAV superficiali si distinguono in:

·       MAV corticali , rifornite esclusivamente da arterie corticali e drenate da vene superficiali;

·       MAV cortico-sottocorticali , alimentate da arterie corticali e drenate da vene sia superficiali sia profonde;

·       MAV cortico-ventricolari , dalla tipica conformazione piramidale, rifornite da arterie corticali e perforanti, con drenaggi venosi sia superficiali sia profondi ( Fig. 5.9 );

·       MAV cortico-callose , alimentate esclusivamente da arterie corticali, prevalentemente del circolo anteriore, con drenaggi sia superficiali sia profondi ( Fig. 5.10 ).

Le MAV profonde sono caratterizzate da un nidus, localizzato nella sostanza grigia dei nuclei della base, che riceve sangue esclusivamente dalle arterie perforanti e drena nel sistema venoso profondo. Le MAV coroidee, a sviluppo prevalentemente intraventricolare, sono rifornite dalle arterie coroidee e subependimali e drenano nelle vene ventri­colari del sistema venoso profondo. Le classificazioni topografiche in realtà trovano riscontro prevalentemente nelle malformazioni pic­cole ( Fig. 5.8 ); le forme medie o grandi, coinvolgendo più strutture, spesso sono ibride e non hanno una specifica corrispondenza clas­sificativa topografica. Berenstein propone una classificazione basata esclusivamente sull’angioarchitettura della MAV in cui riconoscere le caratteristiche fondamentali delle diverse componenti (nidus, arte­rie afferenti, vene efferenti); la classificazione si pone l’obiettivo di identificare la disposizione originaria della MAV e il rapporto con il resto del circolo, di individuare eventuali punti di debolezza del sistema (aneu­rismi arteriosi associati, aneurismi da flusso, aneurismi nidali, stenosi e aneurismi venosi), di distinguere i difetti congeniti da quelli acquisiti (aneurisma displastico o aneurisma da flusso) e prevedere in tal modo la possibile evoluzione clinica della lesione. Le afferenze arteriose sono sud­divise in apporti diretti e indiretti; le afferenze dirette sono caratterizzate da tutte quelle arterie coinvolte esclusivamente nello shunt arterovenoso e a distribuzione nidale, mentre quelle indirette alimentano prevalente­mente il tessuto cerebrale adiacente alla MAV e, solo secondariamente, lo shunt, mediante rami collaterali a pettine. Questi rami arteriosi indiretti rappresentano la circolazione collaterale della MAV e possono essere la via con la quale si inducono fenomeni da furto che sottraggono ap­porto ematico al tessuto sano adiacente la MAV. L’effetto emodinamico

 117Figura 5.8 MAV cerebrali superficiali multiple. A. Arteriografia vertebrale destra: piccola MAV corticale in regione occipitale, rifornita da rami terminali dell’arteria cerebrale posteriore.

B. Carotidografi a destra: altra micro-MAV superfi ciale in regione parietale.


Figura 5.9 MAV cortico-ventricolare. A,B. Carotidografia destra: evidenza dell’estensione e dell’angioarchitettura di una MAV alimentata da branche silviane. C,D. Immagini RM T2w: evidenza dei rapporti del nidus della MAV con le strutture cerebrali (corticali e del corno ventricolare temporale).


dello shunt arterovenoso può portare a reclutamento di vasi meningei, ma anche a distorsione e a ipertrofia arteriosa, con formazione di aneurismi secondari. Gli aneurismi secondari (presenti nel 23% del-la MAV) sono in genere localizzati sulle arterie afferenti al nidus. Gli aneurismi da flusso sono indicatori dei peduncoli vascolari che de­vono essere trattati prioritariamente, perché una buona percentuale delle emorragie osservate nella storia naturale delle MAV sono dovute a rottura di un aneurisma arterioso ( Fig. 5.11 ). Il nidus della MAV, classi­ficato secondo criteri dimensionali e topografici, può avere un aspetto compatto o rado e nel suo interno possono essere presenti diversi tipi di shunt, fistole arterovenose dirette a più o meno elevata portata o ectasie pseudo aneurismatiche sui versanti sia arterioso sia venoso. Le dilatazioni arteriose sono correlate al flusso, rappresentano un punto debole del nidus e possono essere difficili da evidenziare all’angiografia senza il cateterismo superselettivo. Pseudo aneurismi arteriosi possono documentarsi in fase acuta in presenza di ematoma cerebrale e il loro ingrandimento costituisce una delle poche indicazioni al trattamento della MAV in urgenza. Le ectasie venose intralesionale sono general­mente prossimali a un segmento venoso stenotico o trombizzato o a un kinking , meno frequentemente a uno pseudo aneurisma parzialmente ricanalizzato. Immediatamente dopo l’emorragia possono essere evi­denziate tasche venose corrispondenti a pseudo aneurismi, causati dalle alterazioni emodinamiche. Il nido può essere mono compartimentale, ovvero drenato da una singola vena o pluricompartimentale, drenato da più vene afferenti a differenti sistemi.

Il drenaggio venoso della lesione è generalmente prevedibile sulla base della localizzazione del nidus; in caso di trombosi sono possibili ridistribuzioni di circolo con nuovi reclutamenti venosi. In alcune MAV,

A                                                                                                                                                                                B


118Figura 5.10 MAV cerebrale cortico-callosa. A,B. TC senza mdc: emoventricolo acuto. C. La carotidografi a mostra una MAV con piccolo nidus alimentato dall’arteria pericallosa destra ipertrofica. D. Il controllo a 6 mesi dopo trattamento con polimero di alcol etilen-vinilico mostra guarigione completa senza residui della lesione; l’arteria pericallosa ha ora un calibro normale.


Figura 5.11 MAV cerebellare con aneurisma da flusso. A,B. TC senza mdc: Emorragia intraventricolare e intraparenchimale da rottura di aneurisma arterioso da flusso. C. Arteriografia carotide interna sinistra (proiezioni laterale) mostra la complessa MAV con associato aneurisma da flusso lungo una branca afferente alla lesione (freccia). D. Angiografia selettiva della piccola afferenza arteriosa che dimostra la presenza dell’aneurisma ( freccia ).


Emorragia subaracnoidea, aneurismi e altre malformazioni vascolari

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la circolazione del liquido cefalorachidiano è alterata per l’aumento della pressione venosa (alto flusso o trombosi segmentaria) nel seno sagittale superiore (SSS) o per effetto diretto di vene intraventricolari o anche per meccanismi compressivi.

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DELLE MAV

La DPI delle MAV si avvale dello studio integrato con TC, RM e angiografia. Il paziente sintomatico, prevalentemente con quadro clinico acuto, è sotto­posto abitualmente all’esame TC, metodica di prima istanza nella diagnosi di una MAV e dell’eventuale complicanza emorragica. In TC, una MAV di dimensioni medio-grandi appare come un insieme di vasi serpiginoso, isodenso o lievemente iperdenso, con marcato enhancement vascolare dopo mdc. L’emorragia parenchimale è l’espressione clinica peculiare della rottura di una MAV che, se di piccole dimensioni, può essere svelata solo dopo somministrazione di mdc. Con la TC si può ottenere la dimostrazione di:

·       dilatazioni venose e del sistema sinusale, con iperdensità del contenuto ematico per fenomeni di ristagno;

·       dilatazione ventricolare con eventuali segni di idrocefalo;

·       emorragie parenchimali, endoventricolari o extrassiali;

·       calcificazioni periependimali o giunzionali;

·       lesioni ischemiche e segni di massa/rigonfiamento.

L’uso del mdc e le ricostruzioni 3D VR e MIP consentono di potenzia­re le strutture vascolari arteriose e venose, di identificare le eventuali trombosi venose e le dilatazioni venose sovra- e sottotentoriali relative a congestione da reflusso.

Lo studio RM si avvale di sequenze standard (SE e FSE, GRE, SWI, DWI, FLAIR) T1 e T2/T2*-dipendenti, nei tre piani ortogonali, e del completa­mento mediante angio-RM (soprattutto con le tecniche 3D-TOF e contrast enhancement sequenziale). In condizioni di elezione, la RM rappresenta il gold standard diagnostico per lo studio del parenchima cerebrale. La RM permette di diagnosticare la MAV definendone sede, estensione e rapporti con il parenchima circostante ( Fig. 5.9 C) e documentando, inoltre, le alterazioni secondarie di segnale dell’encefalo (edema da congestione, gliosi, atrofia). La RM è particolarmente sensibile nel riconoscere i segni delle pregresse emorragie – anche non recenti –, le microemorragie perinidali (T1, GRE, SWI) e le eventuali trombosi venose. Le sequenze angio-RM forniscono dati preliminari sull’angioarchitettura della MAV, senza però poterne definire i dettagli che rimangono ancora appannag­gio esclusivo dell’angiografia. L’esame DSA è effettuato con cateterismo selettivo delle arterie carotidi interne ed esterne e delle arterie vertebrali, mediante accesso transfemorale, e si pone l’obiettivo di definire:

·       i feeder arteriosi coinvolti, sia della MAV sia della circolazione collaterale, la presenza di eventuali aneurismi da flusso, il reclutamento di circoli collaterali extracranici;

·       le caratteristiche morfostrutturali ed emodinamiche del nidus;

·       la tipologia del drenaggio venoso, la compartimentazione,

i reflussi e le caratteristiche emodinamiche e morfologiche delle singole componenti venose;

·       la vascolarizzazione cerebrale complessiva, con definizione delle eventuali modificazioni anatomofunzionali prodotte dalla MAV.

STORIA NATURALE DELLE MAV

E CONCETTI GENERALI DI TERAPIA

La maggior parte delle MAV rimane a lungo asintomatica, per poi ma­nifestarsi con sintomi quali cefalea, crisi epilettiche, deficit neurologici, deterioramento neurologico o crisi ictali in tempi molto variabili. L’esor­dio più frequente e temibile della MAV è rappresentato dall’emorragia


cerebrale, gravata da un rischio medio di sanguinamento del 2% annuo, che aumenta al 4-6% annuo dopo un primo sanguinamento: l’emor­ragia parenchimale intraventricolare, associata o meno a componente subaracnoidea, comporta mortalità del 32% circa a 20 anni. La causa dell’emorragia può essere ricondotta, sul versante arterioso, agli aneu­rismi da flusso e, sul versante venoso, all’ostacolo al deflusso sanguigno e al conseguente istaurarsi di uno stato di ipertensione intranidale. I deficit neurologici e le crisi comiziali sono causati da fenomeni di furto, dallo shunt o dall’iperpulsatilità delle vene; il deterioramento cognitivo è causato dall’atrofia progressiva del tessuto cerebrale circostante.

119Spetzler e Martin hanno codificato una classificazione morfodimen­sionale e topografica delle MAV con un grading che valuta i rischi di morbilità e mortalità della chirurgia, prendendo in considerazione tre parametri:

·       il diametro della lesione : le grandi dimensioni delle MAV sono responsabili di importanti rischi nell’intervento chirurgico. L’asportazione della lesione, infatti, può causare effetti emodinamici sul circolo cerebrale, congenitamente incapace di attivare i normali meccanismi di autoregolazione, e che improvvisamente si trova a sopportare un brusco incremento di flusso;

·       la sede , intesa come localizzazione della lesione in aree eloquenti (aree sensitivo-motoria, del linguaggio, la corteccia visiva, la capsula interna, i gangli della base, l’ipotalamo, i peduncoli cerebellari e i nuclei cerebellari profondi). L’intervento chirurgico su MAV adiacenti a tali aree comporta una morbilità, per i rischi di dissezioni e retrazione durante l’intervento e di edema ed emorragia nel postoperatorio;

·       il tipo di drenaggio venoso che condiziona l’accessibilità delle lesioni: può essere superficiale (esclusivamente attraverso il sistema corticale o i seni trasverso o retto per le lesioni cerebellari), profondo (quando coinvolge le vene cerebrali interne, le vene basali ecc.) o misto.

Considerando quindi le dimensioni, l’eloquenza neurologica della sede e il drenaggio venoso, Spetzler e Martin hanno assegnato un punteggio per ogni categoria; la somma complessiva dei valori trovati per le varie categorie stabilisce il grading totale della lesione. Si distinguono com­plessivamente cinque gradi; un grado superiore al terzo si correla a un grave rischio operatorio ( Tab. 5.6 ).

La radiochirurgia rappresenta una valida alternativa terapeutica al-la chirurgia; la metodica si applica con modalità stereotassica, con acceleratori lineari o meglio ancora con Gamma Knife o Cyberknife,

Tabella 5.6 Grading delle MAV secondo la classificazione di Spetzler e Martin

Tipo di presentazione

Punti

Dimensioni Piccole ( < 3 cm)

1

Medie (3-6 cm)

2

Grandi ( > 6 cm)

Eloquenza del parenchima adiacente Eloquente

3

0

Non eloquente

Drenaggio venoso Solo superfi ciale

1

0

Profondo

1

 


Sezione| 1 |

Cranio/Encefalo

Figura 5.12 Esempi di FAVD tipo II

                                                                                                                                                                 e IV. A. FAVD tipo II, carotidografia
esterna destra in proiezione laterale: FAVD con drenaggio nel seno sigmoideo di destra e reflusso piale (
freccia ). B. FAVD tipo IV, arteriografi a vertebrale sinistra: dimostrazione della FAVD su una vena profonda, con dilatazione aneurismatica venosa.

120concentrando la dose sul nidus e inducendo un processo reattivo che determina graduale e progressiva occlusione. La percentuale di guari­gione è maggiore per MAV con nidus di piccole dimensioni ( < 2 cm) e decresce sensibilmente con l’aumentare del volume nidale; il tempo di guarigione è variabile tra 6 mesi e 3 anni.

Le MAV rappresentano un’indicazione elettiva alla terapia endovascola­re, che prevede il microcateterismo arterioso e l’embolizzazione del nidus, con materiale fluido (colla, acrilica o polimero di alcol etilen-vinilico.). Con la terapia esclusiva endovascolare, la guarigione completa si ottiene in una percentuale non superiore al 30-40% ( Fig. 5.10 ); nei restanti casi si riducono sensibilmente le dimensioni nidali e si possono trattare selettivamente gli aneurismi associati. Nella pratica clinica, la chirurgia rappresenta la prima scelta per MAV di piccole dimensioni e superficiali mentre la radiochirurgia si rivolge prevalentemente a MAV profonde, con volume nidale esiguo, non complicate da emorragie. La terapia endova­scolare costituisce l’indicazione primaria al trattamento di tutte le restanti forme, da sola (in caso di guarigione) o integrata successivamente dalla chirurgia e/o dalla radiochirurgia. L’integrazione aumenta sensibilmente il risultato globale e riduce drasticamente le complicanze.

Fistole arterovenose durali

Erroneamente classificate in passato tra le malformazioni vascolari ce­rebrali con il termine di malformazioni arterovenose durali, le fistole arterovenose durali (FAVD) sono generalmente conseguenza di insulti flogistici o traumatici. Si sviluppano nel contesto delle meningi, in rap­porto diretto con la dura madre o nello spazio peridurale o sottodurale. Le FAVD rappresentano il 10-15% di tutte le malformazioni vascolari arterovenose intracraniche e constano di uno shunt angiodisplastico più o meno esteso, alimentato da arterie meningee e drenato da vene intracraniche di vari distretti ( Fig. 5.12 A ). Lo shunt può avere ricadute emodinamiche più o meno rilevanti e si associa, in circa il 30% dei casi, a una trombosi venosa; questo dato tende ad avvalorare l’ipotesi di una genesi secondaria a una trombosi o a un processo tromboflebitico. Si sviluppano in sedi diverse, con predilezione per alcune aree della base cra­nica, motivo per il quale in passato sono state classificate con un criterio che le suddivide in base al drenaggio venoso (seni durali, vene meningee, vene superficiali, vene profonde). Le FAVD con drenaggio sinusale sono suddivise a loro volta in: (1) un gruppo antero-inferiore, caratterizzato dal drenaggio nei seni cavernosi, nei seni petrosi o nei seni sfeno-parietali; (2) un gruppo postero-superiore, caratterizzato dal drenaggio nel seno sagittale superiore, nei seni trasversi e nei seni sigmoidei.


Le FAVD sono frequentemente sintomatiche con manifestazioni cliniche caratterizzate da acufeni, cefalea, disturbi del visus e deficit neurologici sfumati e transitori; possono esordire in modo acuto con sintomatologia ictale, causata da emorragia, secondaria a danno ischemico venoso, con evoluzione progressiva a esito spesso infausto ( Fig. 5.13 ). Le manifestazioni cliniche croniche vedono prevalere i deficit cognitivi progressivi. L’ischemia venosa rappresenta il mag­giore rischio di complicanza per l’instaurarsi di una condizione di ipertensione venosa generata, da un lato, dalla pressione dello AV, dall’altro da un ostacolo al drenaggio venoso con attivazione

 

 Figura 5.13 Emorragia cerebrale in FAVD tipo IIA+B con aneurisma venoso. A. TC senza mdc: vasto ematoma acuto temporale sinistro. B,C. L’angiografia selettiva della carotide esterna (proiezioni laterale e frontale) mostra la complessa FAVD con multiple afferenze arteriose sul seno trasverso occluso in modo segmentario e con reflussi venosi piali ectasici e aneurismatici. D. Controllo angiografico dopo trattamento trans-arterioso curativo della FAVD con polimero di alcol etilen-vinilico.


Emorragia subaracnoidea, aneurismi e altre malformazioni vascolari

Capitolo

| 5 |

 

 


 

Tabella 5.7 Classificazione di Cognard delle FAVD

Gruppo

Drenaggio venoso

I

Drenaggio diretto in un seno durale con flusso anterogrado

II

IIA: drenaggio in un seno con reflusso retrogrado senza reflusso piale;

IIB: drenaggio in un seno con reflusso piale;

IIA+B: drenaggio in un seno con reflusso retrogrado sia nel seno che nelle vene piali

III

Drenaggio diretto in una vena corticale con flusso retrogrado

IV

Drenaggio in una vena corticale con dilatazione

o aneurisma venoso

V

Drenaggio in vene perimidollari

 

di reflussi venosi piali in distretti cerebrali sani; l’entità e la sede del reflusso – non compensato da meccanismi di pronto riadattamento di circoli collaterali cerebrali – portano all’insorgenza del danno ischemico e della relativa sintomatologia. Per identificare le FAVD a maggior rischio, Djingian ha classificato le FAVD in quattro gruppi per tipologia del drenaggio venoso; la classificazione è stata succes­sivamente ripresa da Cognard che ha aggiunto un quinto gruppo, includendo le fistole della base cranica caratterizzate da un drenaggio venoso discendente perimidollare che le distingue dalle fistole durali spinali ( Tab. 5.7 ; Fig. 5.14 ).

Senza alterazioni parenchimali cerebrali può essere difficile diagno­sticare le FAVD con la TC o la RM per la mancanza di nidus, per la sede durale dello/degli shunt e del drenaggio venoso sinusale. Gli unici elementi di sospetto possono essere le ectasie venose cerebrali piali tipiche delle FAVD tipo III o gli aneurismi venosi nelle FAVD tipo IV. Nelle FAVD, l’eco-color-Doppler (ECD) dei vasi epiaortici può risultare particolarmente sensibile; la metodica deve valutare la carotide esterna e i suoi rami da cui prendono origine le arterie meningee (occipitali, faringee ascendenti) e le vene di drenaggio del cranio (giugulari, oftal­miche); lo shunt arterovenoso è responsabile di segnali di iperafflusso, con forte riduzione delle resistenze periferiche sul versante arterioso e segni di arterializzazione del flusso sul versante venoso. Nel caso in cui l’ECD faccia sospettare una FAVD, si deve necessariamente ricorre­re all’angiografia. Nel paziente sintomatico con danno parenchimale encefalico (edema, ischemia, emorragia, ematoma sottodurale), la TC e la RM possono, invece, dare un maggiore contributo per la frequente as­


sociazione con la trombosi venosa sinusale; l’uso di sequenze dopo mdc con soppressione del grasso e l’impiego dell’angio-RM, soprattutto con tecnica contrast enhancement , aumenta molto la sensibilità e la specificità degli studi RM. L’angiografia è ancora una volta la tecnica di maggiore affidabilità per la diagnosi e per la definizione delle caratteristiche strutturali e la classificazione della FAVD ( Fig. 5.12 ). Solo quelle inqua­drabili nel tipo I possono essere considerate benigne (e possono essere lasciate senza cura), mentre i restanti quattro gruppi (tipo II-III-IV-V) devono essere trattati.

CONCETTI GENERALI

DI TERAPIA DELLE FAVD

Le FAVD endocraniche, contrariamente a quelle spinali, trovano indi­cazione elettiva nella terapia endovascolare. L’obiettivo da conseguire è l’occlusione della fistola e della base del drenaggio venoso; le deaffe­rentazioni parziali non portano alcun beneficio e tendono a complicare ulteriormente la fistola, aumentandone il rischio di complicanze. L’em­bolizzazione può essere effettuata con due modalità: per via arteriosa

o per via venosa retrograda. Il trattamento per via arteriosa mediante microcaterismo selettivo delle afferenze meningee prevede l’impiego di embolizzanti fluidi (polimero di alcol etilen-vinilico) da iniettare fino al versante venoso ( Fig. 5.13 ). Questa modalità non è applicabile in tutti i casi per le difficoltà di raggiungere il punto ideale di embolizzazione ed è gravata da un rischio di complicanze da danno ischemico dei nervi periferici. La modalità terapeutica per via venosa retrograda è finalizzata all’occlusione del tratto di vena sede degli shunt AV, con rilascio di spi­rali staccabili secondo il principio che la vena di drenaggio della FAVD non partecipa al drenaggio cerebrale e che l’occlusione di questa non comporta un significativo rischio emorragico. Le indicazioni chirurgiche nelle fistole durali rimangono appannaggio di quelle a localizzazione spinale ed è un dato ormai accertato che le FAVD non rispondano alla terapia radiochirurgica.

Cavernomi

Gli angiomi cavernosi (o semplicemente cavernomi) sono malforma­zioni vascolari benigne, a basso flusso e ben circoscritte; rappresen­tano l’8-16% delle malformazioni vascolari. Istologicamente, sono costituiti da spazi vascolari irregolari, sinusoidali, intercomunicanti (caverne), alimentati da una esile rete capillare e drenati da una o più vene.


 121Figura 5.14 FAVD tipo V. A. Arteriografia vertebrale destra: dimostrazione

della FAVD in regione peripontina, con aneurisma venoso. B. Fase angiografica tardiva: dimostrazione dei drenaggi venosi perimidollari a decorso discendente ( freccia ).


Sezione| 1 |Cranio/Encefalo

 

 

122Macroscopicamente gli angiomi cavernosi sono classicamente descritti come formazioni ben definite, multilobulate e con aspetto moriforme o a nido d’ape.

Hanno dimensioni variabili, abitualmente da 1 mm a 1 cm di diame­tro, ma possono arrivare a dimensioni nettamente maggiori; nel 70% dei casi si localizzano in sede sovratentoriale (spesso in prossimità di uno spazio subaracnoideo o dell’ependima ventricolare), ma possono svilupparsi in tutto il sistema nervoso centrale, compreso il midollo spi­nale. Nelle forme sporadiche prevalgono le localizzazioni singole (75% dei casi) mentre nelle forme familiari l’incidenza delle localizzazioni multiple è dell’80% circa ed è associata a mutazione genetica autosomi­ca dominante. I cavernomi sono sempre stati considerati lesioni malfor­mative congenite, ma esistono casi, provati con certezza, di cavernomi acquisiti, ritenuti conseguenza di ostruzioni venose/venulari.

È probabile che esista un continuum tra cavernomi, angiomi venosi e teleangectasie capillari e anche a questo riguardo l’esperienza neu­roradiologica indica che in pazienti portatori di una malformazione vascolare venosa possono comparire successivamente altri tipi di mal­formazioni venose.

Sulla base della diffusione della RM, la frequenza di riscontro è molto aumentata e si può affermare che i cavernomi sono per lo più asinto­matici e di riscontro occasionale; la sintomatologia può esordire con crisi epilettiche (37-69%), emorragia (8-24%), deficit neurologici (21%) e cefalea (8%) e l’evoluzione è variabile con forme che tendono alla regressione spontanea, altre che si accrescono più o meno velocemente (per il succedersi di nuove emorragie) e altre ancora in cui si assiste alla comparsa di nuove lesioni, soprattutto nelle forme familiari.

DIAGNOSI

L’esame TC risulta negativo nel 30-50% dei casi per cavernomi di piccole dimensioni e non complicati da emorragia; quando visibile, il cavernoma appare come una lesione a margini netti, di morfologia rotondeggiante, lievemente iperdensa rispetto al parenchima circostante, a densità omo­genea o lievemente aumentata nella periferia. Nei cavernomi di maggiori dimensioni è frequente il riscontro di calcificazioni, che in taluni casi pos­sono occupare la maggior parte della lesione. I cavernomi non complicati (da emorragia) non causano edema perilesionale e raramente determina­no effetto massa (Fig 5.15). La somministrazione di mdc solo raramente potenzia le lesioni di medie e piccole dimensioni; talora evidenzia le strutture vascolari venose del cavernoma che possono essere attribuite a varianti di drenaggio venoso (eventualmente associate). Il sanguina­mento dei cavernomi comporta, in fase acuta, aumento della iperdensità, aumento delle dimensioni complessive ed aumento dei segni a effetto massa (Fig. 5.16). Si dovrebbe tuttavia cercare di distinguere le emorragie intralesionali dalle vere e proprie rotture del cavernoma che determinano sanguinamento extralesionale intracerebrale e possono generare un vero e proprio ematoma cerebrale; l’ematoma rende difficile la diagnosi di certezza del cavernoma in fase acuta, sia con la TC sia con la RM.

Il gold standard diagnostico del cavernoma è rappresentato dalla RM e dall’impiego combinato e comparativo di diverse sequenze; la massima sensibilità si trova nelle sequenze T2* (suscettibili, GRE e SWI), ma le reali dimensioni del cavernoma sono meglio dimostrate dalle sequenze TSE/FSE in cui non si verifica l’espansione determinata dall’effetto paramagnetico.

Sulla base del reperto RM è stata proposta una classificazione in quattro tipologie, in funzione delle caratteristiche del materiale emor­ragico intralesionale.

·       Tipo 1 . Emorragia in una cavità del cavernoma: la lesione è caratterizzata dalla presenza di emorragia in fase subacuta in quanto presenta un core centrale costituito da metaemoglobina (iperintensità nelle sequenze T1, ipo- o iperintensità nelle immagini T2) e un anello di emosiderina (ipointensità periferica più grande ed evidente in GRE e SWI) ( Fig. 5.15 ).


Figura 5.15 Voluminoso cavernoma temporale sinistro in paziente con cefalea. A,C. Le immagini T2 e T1 convenzionali mostrano l’architettura interna a popcorn del nucleo, costituito da vescicole ematiche con livelli fluido-fluido nel contesto, espressione del recente sanguinamento, e l’ipointensità dell’alone periferico di emosiderina. B. Le immagini T2* dimostrano l’ipointensità di gran parte del nucleo e la migliore visualizzazione dell’alone periferico di emosiderina per il forte effetto di suscettibilità magnetica di tali sequenze. D. La lesione mostra parziale enhancement dopo mdc. Nonostante il volume la lesione è priva di edema circostante ed esercita solo un minimo effetto massa sul corno temporale del ventricolo laterale sinistro.

·        Tipo 2 . Emorragie in varie fasi evolutive: la lesione è caratterizzata da un nucleo ben demarcato a intensità di segnale mista nelle immagini T1 e T2 in relazione alla coesistenza di focolai emorragici pregressi e recenti, con eventuali calcificazioni nel contesto ( popcorn-like ). Il nucleo centrale è circondato da emosiderina (ipointensità periferica più grande ed evidente in GRE e SWI) e da gliosi (iperintensità di segnale nelle immagini T2) ( Fig. 5.16 ).

·       Tipo 3 . Emorragie croniche: la lesione mostra un piccolo core costituito quasi esclusivamente da piccole aree di emosiderina (segnale iso-ipointenso nelle immagini T1, ipointenso nelle sequenze T2 e marcata ipointensità nelle sequenze GRE e SWI per il forte effetto da suscettibilità magnetica).

·       Tipo 4 . Microemorragie puntiformi: la lesione presenta dimensioni minute e apparenza simile alle telangectasie; è costituita da minuti depositi di emosiderina visualizzati come foci di ipointensità di segnale, visibili solo in T2* (GRE, SWI).

L’uso del mdc, come già detto a proposito della TC, determina enhan­cement solo parziale e non in tutti i cavernomi; in ogni caso, il mdc delinea meglio le strutture venose di drenaggio e le eventuali altre


Emorragia subaracnoidea, aneurismi e altre malformazioni vascolari

Capitolo

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 ,A	B,D	E,Figura 5.16 Ematoma frontale destro
C	in paziente affetto da cavernomi
multipli (cavernomatosi). A,B. RM, immagini assiali T2-TSE e GRE T2*. Notare come il cavernoma frontale destro abbia margini di difficile demarcazione, per la coesistenza della vasta emorragia (extracapsulare), con vasto edema vasogenico perilesionale, effetto massa e compressione sul ventricolo omolaterale ed ernia subfalcina.C,D. RM, immagini assiali T2-TSE e GRE T2*. La presenza del cavernoma non complicato controlaterale facilita la diagnosi. E. La TC dimostra sia la marcata iperdensità dell’ematoma ( frecce ) sia la più tenue iperdensità del cavernoma.


malformazioni venose associate (anomalie di drenaggio venoso e teleangectasie capillari).

Nei cavernomi con reperti RM tipici non esiste alcuna indicazione alla angio-RM e all’angiografia; l’angio-RM o l’angiografia sono impiegate solo in fase acuta e/o in caso di emorragie con sospetto di MAV/FAVD. In questi casi, proprio la negatività dell’angiografia tenderà ad avvalorar­ne l’ipotesi diagnostica, essendo gli angiomi cavernosi malformazioni a basso flusso e quindi non visualizzabili angiograficamente.

Teleangectasie capillari

Le teleangectasie capillari (o angiomi capillari) sono malformazioni vascolari molto piccole, in genere inferiori al centimetro, angiografica­mente occulte. La loro sede elettiva è il ponte ( Fig. 5.17 ), ma possono comunque essere riscontrate in ogni parte del nevrasse. Istologicamente sono formate da gruppi di capillari abnormemente dilatati, con calibro


variabile e pareti sottili, prive di cellule muscolari lisce o fibre elastiche. A differenza dei cavernomi, tra i vasi della lesione si riscontra tessuto cerebrale normale interposto e non vi è coesistenza di emosiderina.

Sono normalmente asintomatiche e il loro riscontro è di solito occa­sionale, senza rischio emorragico ( Fig. 5.18 ). Nei rari casi sintomatici, si presentano con crisi epilettiche e deficit neurologici; le emorragie sono comunque eccezionali e si dubita che derivino realmente dalle teleangectasie.

DIAGNOSI

Con la diffusione della RM, la frequenza di riscontro delle telangectasie capillari è molto aumentata.

La loro diagnosi è quasi sempre presuntiva vista la non indicazione a effettuare alcun trattamento ed è basata sull’impiego combinato e comparativo di diverse sequenze.


123Figura 5.17 Teleangectasia pontina tipica, di riscontro occasionale (RM eseguita per disturbo dell’eloquio associato a parestesie in emisoma destro). A. RM assiale, T2-TSE. La lesione appare iperintensa, senza effetto massa né edema. B. RM assiale, GRE T2*. La lesione vira verso la ipointensità (per l’effetto BOLD da flusso estremamente lento, che porta a desaturazione dell’ossiemoglobina a desossiemoglobina). C. RM assiale T1-TSE dopo mdc. La lesione va incontro a impregnazione dopo mdc.


 

 

Sezione| 1 |

Cranio/Encefalo

 Figura 5.18 Riscontro occasionale

                                                                                                 

di teleangectasia fronto-parietale

sinistra (paziente con lieve emiparesi sinistra). Focale area nastriforme di alterata intensità di segnale in sede corticale, a cavallo di un solco. A. RM assiale T2-TSE, in cui l’alterazione appare iperintensa. B. RM assiale GRE T2*, con viraggio verso l’ipointensità, per effetto BOLD. C. RM assiale T1-TSE dopo mdc, con sfumata impregnazione lungo il solco.

Nei casi non complicati da trombosi o emorragia, le teleangectasie sono solitamente individuate per una presa di contrasto punteggiata o a spazzola associata a sfumata iperintensità in T2. Nelle sequenze T1 senza mdc, le teleangectasie sono normalmente isointense al tessuto circostante (e quindi non visibili), mentre nelle sequenze T2-GRE appaiono spesso come area di ipointensità secondaria a effetto di suscettibilità, verosimilmente per elevato contenuto in deossiemoglobina dei capillari a lento flusso. La recente introduzione delle sequenze di suscettività (SWI) ha aggiunto una nuova possibilità che aumenta sensibilità e specificità della diagnosi: con le immagini SWI, la telean­gectasia appare fortemente ipointensa (con ipointensità più marcata rispetto alle sequenze GRE).


 


LETTURE CONSIGLIATE


 


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Emorragia subaracnoidea, aneurismi e altre malformazioni vascolari

Capitolo

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